A Milano il razionalismo progettava la modernità. Biondillo racconta la storia degli architetti dimenticati
"Quello che noi non siamo" (Guanda) è stato presentato alla Biblioteca civica di Varese. Un'iniziativa frutto della collaborazione tra Ordine degli architetti e assessorato alla Cultura
«Vi sarà capitato di sentir definire piazza Monte Grappa di Varese un esempio di architettura razionalista. È sbagliato, si tratta di Novecentismo». Eugenio Guglielmi, architetto e docente universitario, è considerato uno dei massimi esperti in Italia di quel periodo storico. Secondo Guglielmi, è un errore «insopportabile» perché non rende giustizia a un gruppo di architetti, tra i quali c’erano Giuseppe Terragni, Piero Bottoni, Gianluigi Banfi, Luigi Figini, Gino Pollini, Raffaello Giolli, Lodovico Barbiano di Belgioioso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers, Giuseppe Pagano e Edoardo Persico, che diede vita a una vera e propria rivoluzione, etica ed estetica, pagando con l’oblio il fatto di esser nati e vissuti sotto il fascismo.
UN ROMANZO CHE PARLA DI PERSONE
A ricordare la loro storia è il romanzo “Quello che noi non siamo” (Guanda) scritto da Gianni Biondillo e presentato alla Biblioteca civica di Varese grazie alla collaborazione tra l’Ordine degli architetti e l’assessorato alla Cultura del comune di Varese. «In questo libro, frutto di una lunga ricerca, non c’è nulla di inventato – ha detto l’autore -. Era la mia ossessione fin dagli anni del Politecnico e dopo trent’anni l’ho scritto».
“Quello che noi non siamo” non è un saggio di architettura. Biondillo racconta la storia di intellettuali straordinari che guardavano il Paese con uno sguardo nuovo e oggi quasi totalmente dimenticati. «Giuseppe Terragni di Como, autore della ex Casa del fascio, considerato uno degli edifici più importanti dell’architettura mondiale del ventesimo secolo, è tra gli architetti più studiati nelle università straniere – sottolinea lo scrittore -. Una volta ho chiesto a una persona se sapesse chi fosse Giuseppe Pagano. La risposta fu: “Quello della fermata della metropolitana”?».
Una generazione nata e cresciuta sotto il fascismo che aveva creduto in una rivoluzione e su quella spinta aveva elaborato un nuovo pensiero per l’architettura moderna, il razionalismo, in opposizione all’accademismo centralista romano. «Guardavano all’Europa, non amavano la retorica e la romanità – spiega Biondillo -. Da tutta Italia venivano a Milano perché lì avevano trovato libertà di espressione. Sarà la storia con le leggi razziali, la disfatta sul fronte russo e l’armistizio a presentare a questa avanguardia intellettuale un conto salato».
UN ROMANZO CORALE
Un romanzo corale che ha tra i suoi protagonisti alcune donne straordinarie, tra cui Maria Albini e Maria Bottoni, impegnate nella Resistenza in Italia e all’estero.
Elena Brusa Pasqué, presidente dell’Ordine degli architetti di Varese, definisce il romanzo di Biondillo «una narrazione di fatti reali, “Fait d’hiver”».
«Proprio come faceva Stendhal nell’’800 che romanzava storie vere – spiega la presidente dell’Ordine degli architetti – andando a intervistare o a rovistare nei diari e nei documenti a lui contemporanei per costruire romanzi che di romanzato hanno ben poco. Dalle letture di lettere, diari e dal racconto personale dei protagonisti o dei famigliari Stendhal entrava nei personaggi e per secoli si è pensato che fosse un scrittore di romanzi. Era uno scrittore che romanzava verità storiche così come Biondillo entra nei suoi personaggi e li racconta come se anche lui avesse vissuto con loro la loro storia coraggiosa».
LA SPERANZA
Nella Sala Morselli della biblioteca civica, a rendere omaggio a questi intellettuali coraggiosi, c’erano anche Nina Ravelli, figlia di Aldo Ravelli, citato più volte nel libro di Biondillo, Floriana e Gianluca Maris figli di Gianfranco Maris che era in campo di concentramento con Belgiojoso e Banfi. «Anche in quelle condizioni disumane continuavano a progettare – ha concluso Floriana Maris – guardando con speranza al futuro e a una società più giusta».
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