Atti persecutori alla vicina: a 85 anni condannato a Varese per stalking
Piante uccise col diserbante, sassi in giardino e bastonate al cane le accuse mosse all’anziano che dovrà pagare spese legali e provvisionale. Tutto per una recinzione mal digerita
Si è alzato in piedi e ha parlato, rivolto al giudice, specificando di essere stato lui stesso quasi vittima, ad essere stato minacciato, e di non aver mai fatto nulla di male, al massimo di aver buttato acqua fuoriuscita dalla canna per l’irrigazione nel giardino della vicina.
Ma il giudice Andrea Crema in veste monocratica al tribunale di Varese non gli ha creduto e ha condannato a 9 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese e ad una provvisionale di 2mila euro un uomo di 85 anni residente a Orino, paesino della Valcuvia. Il motivo – uno dei motivi, sentendo accusa (pm Arianna Cremona) e parte civile (avvocato Vera dall’Osto) – ha un nome preciso: “Terbutilazina“, vale a dire un potente diserbante, così forte e potenzialmente nocivo «che è necessario avere uno speciale patentino per l’acquisto e l’uso», che l’anziano residente del paesino della Valcuvia è accusato di aver sparso sui fiori della vicina di casa con esiti catastrofici per le sue piante. Uno solo dei “dispetti“ che avrebbero tuttavia ingenerato nella donna una “alterazione delle proprie abitudini di vita“, la formula impiegata dall’articolo 612 bis del codice penale per descrivere lo stalking, vale a dire gli atti persecutori.
«La mia assistita», ha spiegato l’avvocato di parte civile «ha dovuto prendere precise precauzioni come il rientrare a casa ogni volta che nel giardino c’era il vicino». E poi le pastiglie, gli ansiolitici per soffocare quel patema dovuto ai continui litigi o agli atti contestati come calci e bastonate al cane, i sassi nel giardino, le fragole e i fiori che misteriosamente appassivano (e le cui cause sono addirittura contenute in una perizia di parte che dimostrerebbe l’impiego del potente diserbante con nefaste conseguenze su piante e flora circostante) e i tentativi di rimozione di un parapetto posto al confine.
Già, il confine: sarebbe questo il casus belli fra vicini che a quanto pare avevano dei buoni rapporti fra residenti dopo che l’imputato vendette un pezzo di terreno di sua proprietà e nelle vicinanze della propria residenza alla parte offesa (la signora, ai tempi coniugata) che vi costruì la casa. Questo, per decenni (siamo nella seconda metà degli anni Ottanta) e fino al 2017 quando la donna decide di costruire una recinzione che venne subito contestata dal vicino in virtù di una «servitù di panorama» attraverso prima un accesso agli atti in Comune, e successivamente con una causa civile che venne fortemente dibattuta con tanto di periti, ma persa dall’attore (cioè l’imputato che oggi è stato condannato in sede penale). Dopo quella causa persa sarebbero partiti gli atti persecutori che tuttavia secondo il difensore dell’imputato, avvocato Antonio Battaglia non sarebbero dimostrabili, e per i quali ha chiesto l’assoluzione.
Il pm aveva chiesto 10 mesi, e il giudice ha considerato le attenuanti generiche. Le motivazioni della decisione del giudice verranno depositate entro 90 giorni.
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