Bocce, a Cuvio ancora un trionfo dei padroni di casa
Il racconto della partita di Roberto Turuani durante il quarto di finale contro il cuviese Giovanni Boscaro
Osservare il volto di Roberto Turuani, durante il quarto di finale contro il cuviese Giovanni Boscaro, era come vedere la macchina da presa guidata da Federico Fellini sui primi piani dell’attore sottoposto a una ridda di sensazioni generate da un evento imprevedibile e inatteso: stupore, meraviglia, disappunto in una continua sovrapposizione, solo che in questo caso non si trattava di finzione, bensì di una vicenda reale. Sembrava chiedersi come facesse il suo avversario a essere così preciso, a lasciare solo tenui spiragli all’errore con la conseguenza di porlo in difficoltà, pareva pensasse: “Va bene la conoscenza dei campi, l’abitudine a giocarci, ma questo fa il fenomeno!”.
Così il Roberto si trova sotto per 9-3, a un passo dal baratro; trova la forza con alcune giocate degne della sua fama, fra cui una bocciata di volo di straordinaria efficacia, rimonta 9-5, poi 9-7, ma il Giovanni è ormai scappato troppo in avanti e non si lascia sfuggire il ghiotto scalpo e si aggiudica l’incontro.
Nel frattempo l’altro cuviese, il Paolo Proserpio, dopo aver maramaldeggiato in quel di Bedero, continua a imperversare contro il quasi rassegnato monvallese Angelo Spatafora, conquistando con autorevolezza la finale, pregustandola come una passerella tutta formata da atleti della rinomata casa dell’entusiastico sponsor Costa.
Invece Boscaro decide di percorrere l’infausto sentiero sul quale aveva galoppato in precedenza, solo a parti invertite: lascia fuggire Andrea Aquilini fino al punteggio di 7-1, tenta di risalire la corrente impetuosa generata da un avversario che solca i flutti con l’abilità di un esperto di rafting, tramite violente bocciate coronate spesso dal successo, ma alfine lascia via libera al ternatese.
La finale vive all’insegna della prudenza, meglio un punticino sicuro adesso che eventuali multipli con percentuali di rischio elevate: emblematica una giocata dove ci sono tre bocce di Aquilini sul fondo a destra, tre di Proserpio sul fondo a sinistra, il pallino a tre quarti e nessuno dei due azzarda la bocciata sul boccino, ma entrambi fanno la scelta più prudente dell’accosto.
Il Proserpio si erge come la torre del Filarete del castello Sforzesco di Milano, simbolo del potere dominante della signoria della città non solo nel 400, ma anche con la ricostruzione del Beltrami nel 900, quasi a simboleggiare il primato lombardo dell’alacrità nella giovane Italia, e si stacca lentamente, contrastato da un avversario per nulla disposto a lasciargli via libera, come dovesse difendere il passo sul marciapiede sul quale sta camminando nella personificazione del manzoniano Fra Cristoforo: esibizioni continue di grandi doti boccistiche, ma infine Aquilini comincia a commettere alcuni errori in bocciata ed è costretto ad arrendersi.
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