Per l’accusa di maltrattamenti all’asilo di Cantello chiesti 4 anni di condanna all’educatrice

La pm: scappellotti e prese per il mento a bimbi di due anni. La difesa non ci sta e chiede assoluzione e di rubricare l’accusa in “abuso di mezzi di correzione“

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Quale comportamento di un’educatrice integra il reato di maltrattamento su minori (il codice parla di maltrattamento in famiglia, concetto che si estende verso i soggetti cui è rivolta l’autorità di un terzo: genitori, ma in alcuni casi anche insegnanti, sacerdoti, educatori ecc.)? E quale l’abuso dei mezzi di educazione? Bastano le riprese delle telecamere cui sono seguite le trascrizioni delle stesse, unitamente alle testimonianze ascoltate in aula? È su questi concetti che si gioca l’eventuale trattamento sanzionatorio richiesto per l’educatrice di un asilo di Cantello per fatti che risalgono ad anni fa e dove i dubbi di alcune famiglie circa il comportamento dell’insegnante stessa sono finti in un processo penale.

Secondo l’accusa – pm Maria Claudia Contini – la pena corretta per il comportamento tenuto dall’imputata è di 4 anni considerata l’aggravante della tenera età delle vittime che si compensa con le attenuanti generiche per un’insegnante che avrebbe utilizzato «comportamenti bruschi sui bambini, una persona in grado di cagionare all’interno della classe una diffusa sensazione di malessere», in un processo in cui le intercettazioni disposte dalla Procura stessa ed eseguite dall’Arma hanno rappresentato un «fattore fondamentale».

Filmati che «ci sono e che sono inequivoci» anche secondo il difensore di parte civile Paolo Bossi che sta con l’accusa sul piano della ricostruzione fattuale: «Mani addosso ai bimbi, sberlette in testa se i piccoli non finivano la pappa, metodi educativi antiquati e che appartengono a un becero e deprecabile passato». Idea condivisa anche dall’altro difensore di parte civile avvocato Annamaria Brusa che si è soffermata sulla pratica, attiva in quell’asilo e messa in atto dall’insegnante indagata, del “time out”: una sorta di “castigo“ in cui il bambino veniva messo, su di una sedia, fermo, a fronte di intemperanze dimostrate nei riguardi dell’autorità (in questo caso rappresentata dall’insegnante). «Autorevoli studi evidenziano che questa pratica del time out, nata per compensare comportamenti ostativi dei piccoli, funziona ma alla scuola primaria e non di certo con bambini di 2 anni».

Massimo Tatti ha parlato per ultimo. È il difensore della maestra. E ha smontato pezzo per pezzo le indagini svolte carenti di alcuni passaggi (vedi il “mattarello“ utilizzato per alcuni lavoretti secondo la difesa mai utilizzato per far male: «Perché non è stato posto sotto sequestro dai carabinieri?») e dalle trascrizioni delle intercettazioni che debbono venire lette in maniera complementare con le immagini, vale a dire 119 ore di riprese per 17 giorni con filmati offre alla difesa in contesti solo parziali: «Nessuno dei fatti in querela è stato dimostrato nel dibattimento, parte dei fatti raccontati sono confidenze di un bambino col proprio genitore. La famosa “stanza del castigo“ di cui si parla, non esiste poiché non figura nella struttura come viene vista oggi, dopo alcune ristrutturazioni e non dunque sulla base dei disegni originari del peso presentati nella loro versione iniziale, risalente al 1970».

Contestazioni che portano il legale ad una conclusione: l’imputata «va assolta con certezza dal reato di maltrattamenti in famiglia, poiché il reato contestato deve venir derubricato nell’articolo 571 del codice penale, vale a dire “abuso dei mezzi di correzione e disciplina” che ritengo sia quello più corretto. Possono essere modi un po’ bruschi, ma non c’è alcun sistema di sopraffazione e violenza. I bambini erano contenti di andare all’asilo». Come andrà a finire? Lo sapremo ad ottobre, nell’udienza per repliche e lettura della decisione del Collegio.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 29 Maggio 2024
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