Processo Aspem Reti, Ciro Calemme in aula si difende sul “caso piscine“ della Schiranna

In oltre due ore di botta e risposta col pubblico ministero l’ex amministratore della società pubblica risponde punto su punto: “Il complesso era fatiscente, abbiamo evitato la chiusura coi lavori”

Generico 20 May 2024

Una ricostruzione minuziosa, da spaccare il capello in quattro con date, norme, funzioni, problemi e soluzioni adottate per governare un bene pubblico, tra l’altro scegliendo la strada più efficiente per evitare problemi potenzialmente ben più gravi di quelle accuse mosse a Ciro Calemme nel corso del processo che da anni lo vede imputato assieme al costruttore Matteo Sciretta e al direttore dei lavori Giacomo Battiston nel processo «Aspem Reti». Si tratta di numerosi capi di imputazione accesi da un esposto presentato alla fine dell’era del centrodestra a Varese, una volta che lo “spoil system“ impose un cambio dei vertici dell’azienda pubblica con l’esito delle elezioni a Varese nel 2016 che vide affermarsi il sindaco Davide Galimberti.

Passaggi ricordati in aula proprio nel giorno di Ciro Calemme, arrivato al banco dei testimoni dopo aver scelto di venire interrogato dal pubblico ministero Lorenzo dalla Palma succeduto al titolare delle prime indagini, il sostituto procuratore Massimo Politi. Calemme ha parlato per oltre due ore cominciando a ricostruire le sue funzioni in Aspem Reti (dove è approdato per bando pubblico) che lo hanno portato a ricoprire la carica di amministratore unico, funzione che condivideva col suo ruolo di dipendente dell’Inps di Varese: «Al mattino lavoravo all’ufficio legale dell’Inps, e terminato il mio turno lavorativo, al pomeriggio, andavo in Aspem», ha ricordato, per emolumenti alla fine del suo mandato pari a 20mila euro lordi annui («sommati al mio stipendio, dal punto di vista fiscale, quasi ci perdevo»).

Nel 2009 la decisione da parte del consiglio comunale di Varese quasi all’unanimità di assegnare la gestione del complesso Schiranna (bar, ristorante e soprattutto piscine) ad Aspem. E qui cominciano le rogne: il complesso è datato fine anni Trenta, ha uno stato di conservazione della struttura ritenuta «fatiscente» bisogna subito mettere a mano ad alcuni aspetti legati all’ammodernamento dell’immobile che viene con gara aggiudicato ad un operatore privato (Olympus Fitness asd) in grado di gestire la piscina che diventa essenziale per garantire la buona riuscita delle manifestazioni sportive su cui la politica vuole puntare per lo sviluppo del territorio, vale a dire il lago di Varese come campo gara per competizioni internazionali di canottaggio. Ma c’è molto da fare ed è qui, già nel 2009 secondo la ricostruzione sentita in aula dall’imputato che una prescrizione di Asl (oggi Ats) obbligava un adeguamento strutturale dell’immobile «lavori sempre procrastinati dal Comune, e che se non eseguiti avrebbero impedito l’apertura».

Lavori che vengono effettuati. Un prologo (le contestazioni della magistratura si riferiscono al periodo successivo) esposto da Calemme come necessario per comprendere lo spirito che muoveva la sua gestione: conservare un bene pubblico e consegnarlo alla fruizione della collettività. Proprio come avverrà sei anni più tardi quando la “World Rowing Cup“ portò appunto nel 2015 a Varese «duecentomila persone»: in questo frangente un accidente dovuto alla rottura di alcune piastrelle nella zona bar mise a nudo un serio problema di tenuta delle solette affrontato con lavori realizzati dalla ditta Sciretta in condizioni difficilissime. A questo proposito il racconto di Calemme viene suffragato da un consulente della difesa sentito sempre nell’udienza di giovedì 23 maggio che ha raccontato quanto siano angusti gli spazi del cavedio dove dovettero lavorare gli operai, semi sdraiati, in ambiente confinato, privo di ricambio d’aria e fangoso: un inferno. Condizioni che secondo il tecnico sarebbero state sufficienti ad incrementare, e di molto, i 90 euro al metro quadro del valore della ristrutturazione contestati dalla Procura.

Il racconto di Calemme ha pure superato anche le domande delle parti civili tese a tornare sul tema dei rapporti fra affari e politica: l’imputato è tra i fondatori di “Agorà Liberi e Forti“ e ai tempi ricopriva anche funzioni direttive nel partito di Forza Italia a Varese e nulla ha mai chiesto in termini di azioni di denaro al costruttore Sciretta che versò attraverso bonifico soldi a entrambe le realtà (sebbene questo tema non abbia attinenza con le accuse mosse agli imputati). Un’esposizione come si diceva molto ricca, priva di alcun timore, sicura e in alcuni frangenti dai toni anche accesi, specialmente nel momento in cui il pubblico ministero ha contestato il contenuto di un’intercettazione telefonica fra due interlocutori in cui veniva ipotizzata una «stecca», vedi dazione in denaro: «Mai chiesto o ricevuto soldi da nessuno. A tale proposito ho dato mandato ai miei legali anzi di valutare ogni azione possibile a mia tutela. Si parla della Schiranna come il male assoluto della politica varesina: in Aspem ho autorizzato investimenti per 70 milioni di euro durante la mia gestione, dunque il complesso della Schiranna era da ritenersi del tutto residuale».

Il processo prosegue con altre due escussioni testimoniali, poi si chiuderà il dibattimento per filare verso le conclusioni.

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Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 23 Maggio 2024
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