A Sant’Antonino Ticino si riaccende il ricordo dei cugini Giassi

Nell’ottantesimo dell’uccisione dei due partigiani ventenni la cerimonia nella piazzetta del paese. Nel ricordo della Resistenza unita e animata da componenti diverse, di ogni colore politico

Lonate Pozzolo generica

A Sant’Antonino Ticino si ricorda il sacrificio dei cugini Giassi, Giovanni e Giordano, a ottant’anni fa dalla morte, dopo il rastrellamento alla cascina Leopoldina.

La commemorazione si è tenuta nella piccola piazzetta del centro storico di Sant’Antonino, alla presenza di Anpi Ferno-Lonate, promotrice dell’evento, dell’amministrazione comunale (con la sindaca Elena Carraro e il vice Andrea Colombo), delle associazioni cittadine, dei discendenti della famiglia Giassi.

Chi erano i cugini Giassi

I Giassi erano venuti dalla Bergamasca alla zona di Malpensa, già allora più industrializzata del resto d’Italia, dove anche le condizioni di affitto della terra erano più favorevoli.

Ventenni o poco più nel ‘44 si aggregarono alla formazione partigiana attiva nella zona e animata anche dal sostegno del clero locale: “La Brigata Gasparotto infatti – che continueremo a chiamare in tal modo, ma che va specificato
che, già in nuce nell’inverno ’42-’43, fino all’autunno del ’44 non ebbe un nome – fu operativa, con sede a Cuggiono, nell’intero Castanese, comprendendo parte del Legnanese e del Magentino, per quanto riguarda la Provincia di Milano, e con Sacconago (frazione di Busto Arsizio) e Sant’Antonino Ticino (frazione di Lonate Pozzolo), per quanto riguarda quella di Varese” ha ricordato nel suo intervento la relatrice ufficiale, Elisabetta Bozzi, vicepresidente Anpi Magenta, parte del gruppo del Percorso della Memoria Diffusa.

I partigiani della (futura) brigata Gasparotto nei giorni dopo l’armistizio recuperarono armi anche nel Campo d’Aviazione di Lonate Pozzolo, non ancora raggiunto dalle truppe tedesche. La loro base principale fu poi collocata alla Cascina Leopoldina, importante centro rurale ai margini del paese di Cuggiono (è ancora oggi tra prati e campi).

Lonate Pozzolo generica

“Nei primi giorni del luglio 1944, una spia, accreditata con l’inganno presso il comando della brigata, tese un tranello a Carlo Berra e Giovanni Gualdoni, due partigiani della brigata che, il 6 luglio, finirono nelle mani dei fascisti. Al loro arresto seguì immediatamente un assalto armato alla Leopoldina, all’alba del giorno successivo, 7 luglio 1944, da parte dei repubblichini e qualche ufficiale tedesco contro otto partigiani presenti in quel momento nella cascina”. In sei riuscirono a fuggire, tranne i due partigiani di Sant’Antonino, i cugini Giordano e Giovanni Giassi, quest’ultimo ferito. Interrotti gli scontri iniziò il rastrellamento, che comprese altre due cascine della zona, la Vismara e la Lovati. Vennero messi al muro uomini, donne e bambini. I due cugini Giassi furono fatti prigionieri e con loro un gruppo di presenti fra cui Vittoria Crivelli, moglie dell’affittuario della Leopoldina, con le figlie Giulia e Mariuccia Villa. Tutti gli arrestati furono condotti a Milano nella Caserma GNR di via Vincenzo Monti. Da lì, salvo i quattro della Gasparotto, i prigionieri vennero trasferiti a San Vittore e in altre carceri, da dove alcuni partirono per i Lager nazisti. Fra questi, Vittoria Crivelli, deportata a Ravensbrück”.

I quattro partigiani della Gasparotto invece – Carlo Berra, Giovanni Gualdoni, Giordano e Giovanni Giassi – furono trattenuti in via Vincenzo Monti e lì fucilati il giorno stesso, tre di loro in piedi contro un muro della caserma, mentre Giovanni Giassi, che non si reggeva per il ferimento, fu fatto sedere e ucciso così, accanto ai compagni”.

Il colpo fu terribile. Oltre ai quattro compagni di lotta« i partigiani avevano perso una base, la Leopoldina e il suo territorio. Il delatore, la spia – sedicente Conte della Rocca, alias Luigi Baratelli di Castiglione Olona –, era riuscito a far catturare Berra, pezzo importante della formazione, mirando anche all’altrettanto importante Giuseppe Spezia, “Pinetto”, cugino del Comandante, che per un caso fortuito non era finito nella rete».

Dopo molti giorni di vuoto, di stasi, a Cuggiono venne Rino Pachetti (figura di rilievo della Resistenza a livello nazionale, comandante della neocostituita Divisione Altomilanese, a incontrare Pinetto per istruzioni. «Così, l’attività della brigata ripartì con rinnovato slancio.
Pachetti, che era passato da poco nelle mani dei torturatori, riportava nell’animo e sul viso i segni di una sofferenza appena trascorsa».

La brigata sarebbe stata dedicata a “Poldo” Gasparotto, ucciso a Fossoli il 22 giugno 1944, pochi giorni prima del rastrellamento della Leopoldina.

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La Resistenza fatta di tante componenti diverse

La Resistenza coinvolse «volontari civili e militari dell’esercito […] profondamente distanti fra loro per basi ideologiche, ma accomunati da un unico sentimento antifascista».

Coinvolse «i preti e le suore, gli studenti e gli insegnanti, le operaie e gli operai, i singoli militari o gli interi reparti dell’esercito, che presero parte alla Resistenza».

Un riferimento particolare poi ai ben 2000 ebrei, «un numero altissimo, se rapportato alle sole 39.000 presenze nel Centro-Nord occupato, di cui 5.500 stranieri»,  ai rom e ai sinti nella Resistenza italiana; rom e sinti «che nell’Europa occupata scomparvero nel Samudaripen, il loro genocidio». E ancora «militari sovietici russi e oppositori politici jugoslavi, fuggiti dai Campi di concentramento nazisti o fascisti in Italia, che si unirono alle nostre brigate e caddero nei nostri confini per un sogno comune di libertà»

E con questo spirito nel discorso Bozzi ha ricordato anche Giorgio Caretta dell’ANPI di Vanzaghello, recentemente scomparso, «il quale credeva e si batteva per la memoria della Resistenza nella sua pluralità, per la valorizzazione di ogni sua componente».

«Giorgio, che avrebbe partecipato con entusiasmo a questa cerimonia, ci lascia in eredità proprio lo spirito pluralista che lo rende in questo momento presente, vivo fra noi».

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Pubblicato il 24 Giugno 2024
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