A Taino la “reunion” delle glorie del Varese. Montesano: “Siamo come una grande famiglia”

L’occasione di una partita di calcio riporta in campo i campioni biancorossi degli anni Settanta. Vito De Lorentis: «Abbiamo avuto dei grandi maestri e volevamo divertirci»

A guardarli dentro e fuori dal campo non verrebbe mai da dire che sono ex calciatori o vecchie glorie. La gloria è tale perché non invecchia e di ex hanno poco nell’atteggiamento. Tra loro c’è sicuramente un legame forte nato sul campo di calcio. Il cemento vero è stato poi la vita e tutto quello che il destino gli ha riservato.
È qualcosa di speciale, difficile da descrivere e che dura da quasi mezzo secolo. E non importa se si era titolari in prima squadra o se si aveva militato solo nelle giovanili. I colori biancorossi del Varese sono come un’impronta impressa nell’anima.
La scusa che li porta a riunirsi è sempre una partita di calcio, ma poi c’è tutto il resto. I parenti al seguito, i pranzi che diventano momenti di confronto sulla vita di tutti giorni e il piacere di condividere una parte della loro esistenza. «Siamo come una grande famiglia» dice Giampaolo Montesano, che oggi gestisce il campo sportivo di Taino, dove si sono ritrovati, e considerato uno dei migliori talenti passati da Varese.

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OGNI MATTINA UN MESSAGGIO

Si chiamano con i nomignoli che usavano nello spogliatoio e hanno un gruppo condiviso sullo smartphone. «Ogni mattina ci mandiamo un saluto – dice Vito De Lorentis,  centrocampista di rango e grande protagonista dell’indimenticabile Varese di Pietro Maroso -. Ci vogliamo bene e tra noi c’è molta solidarietà. È un legame vero che il tempo non ha scalfito, anzi».
Ed è proprio questo legame che, secondo De Lorentis, segna uno spartiacque tra il calcio di ieri e quello di oggi. «Quando vengono inquadrati negli spogliatoi i calciatori oggi indossano spesso gli auricolari – spiega l’ex giocatore -. È come se ognuno pensasse solo al suo. Noi quando entravamo negli spogliatoi, seppur concentrati, avevamo voglia di divertirci, di condividere e stare insieme. Insomma, il nostro era un calcio diverso».

VARESE FUCINA DI TALENTI

Varese un tempo era una piazza ambita, un trampolino di lancio assicurato per i giovani talenti. Dal Franco Ossola sono passati anche due campioni del mondo, Gianpiero Marini e Claudio Gentile, colonne della nazionale mundial targata Bearzot. «A Varese avevamo come insegnanti dei veri maestri di calcio e c’era molta innovazione» sottolinea De Lorentis. Tra gli amici presenti a Taino c’è anche Mario Grotto, all’epoca responsabile del settore giovanile biancorosso, uno che di talenti ne ha fatti crescere tanti all’ombra del Sacro Monte. Uno di questi era Federico Norbiato di Sesto Calende, anche lui in serie B con il Varese, con un passaggio in serie A alla Roma per infine percorrere una discreta carriera tra professionisti e dilettanti. Norbiato allora era iscritto alla facoltà universitaria di lettere antiche, una rarità nel mondo del calcio di allora. Una passione per lo studio forte almeno quanto quella per il calcio che lo porterà a una laurea in giurisprudenza e a una seconda vita di successi nel ruolo di responsabile delle risorse umane in grandi aziende.

IL TOCCO PROVVIDENZIALE

All’arrivo di Ernestino Ramella, uno che di testa non lasciava prendere una palla che era una al proprio marcatore, si forma subito un capannello con l’inossidabile Silvio Papini e il portierone Claudio Fadoni protagonista della risalita in C1 nella stagione 1989-1990, a cui si aggiungono Fiorenzo Roncari, Antonio Ferrario, Chicco Sacchi ed Eugenio Coratella. 
Tra loro anche il medico sociale Luciano Lucchina il cui “tocco” per la loro buona salute – ve lo assicuro – è ancora provvidenziale.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 10 Giugno 2024
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