Come un vento e una brezza: il saluto a Luigi Cin Grossi, “mansueto e ribelle”
Dal ragazzino che sognava il volo al partigiano combattente, dall'emigrante in Argentina al grande professionista nel mondo dell'aeronautica: al funerale a Varese evocati i tanti volti di un uomo capace di dolcezza
A volte è il lavoro che ci caratterizza nella vita, si diventa quel che si fa. A volte invece è il capitolo finale di una vita a dare il segno, in altri casi qualcosa che abbiamo fatto nel passato.
Nella lunga vita di Luigi “Cin” Grossi ci sono tanti volti da ricordare.
Il più immediato è quella esperienza da partigiano, quei pochi lunghi mesi che – come ogni partigiano – si è sempre portato dentro. Ma dietro c’è molto di più: l’artista del legno, l’appassionato di montagna che cercava rapporto profondo con la natura, il disegnatore aeronautico, il «nonno aggiustone» per le sue nipoti.
Capitoli di vita rievocati al funerale a Varese, un racconto anche collettivo, di voci molto diverse.
A partire dall’immagine di quel ragazzino che «a quindici anni aveva costruito con suo cugino un piccolo aliante» e sognava il volo lanciandolo dalla collina della natìa Arona verso il Lago Maggiore. Immagine rievocata da Andrea Artoni, collega in Aermacchi negli anni Settanta. Che ha ricordato che il Cin aveva «oltre a una conoscenza tecnica, una profonda capacità artistica, era un uomo d’aviazione completo e naturale».
Univa visione e capacità pratiche: emigrante in Argentina lavorò come mobiliere, quella capacità di lavorazione del legno più tardi ne fece anche «un costruttore di magnifici burattini, tanti bambini hanno costruito burattini sotto la sua sapiente guida», ha rievocato Piera Malnati.
Poi s’alza il vento, nella vita del Cin: entra nell’industria aeronautica come collaboratore del governo dell’Argentina (a fianco di Kurt Tank, progettista dei velivoli Focke-Wulf), poi rientra in Italia. «S’industriò con lavori umili prima della rinascita dell’industria aeronautica varesina, che si ebbe poi con il progetto dell’Mb326 della Aeronautica Macchi».
Il capitolo di vita che oggi i più ricordano, però, è quello da partigiano, nella Divisione Alpina Beltrami, brigata autonoma attiva tra Lago Maggiore, Cusio e Ossola. Nome di battaglia “Cin”, appunto, la dolce storpiatura del suo nome che faceva la sorella più piccola.
Un’esperienza rimasta centrale, raccontata tante volte, davanti a una telecamera ma soprattutto ai bambini e ai ragazzi, con capacità di farli immedesimare: «sapeva trasformare la sua figura maestosa in un uomo mite», ha ricordato Ester De Tomasi, presidente provinciale di Anpi Varese. «Si commuoveva e diveniva fragile quando parlava di una ragazzina rinchiusa dai nazisti all’hotel Meina, che non ha mai più rivisto. Agli incontri con i ragazzi portava con sé due pietre dell’hotel, che non esiste più».
Forza e fragilità insieme, «mansueto e ribelle», lo hanno ricordato le nipoti Alessandra e Claudia. Evocando i ricordi del «nonno aggiustone» e i racconti «delle tue mille avventure, il nostro preferito era l’incontro con la tua amata Maria Luisa».
Come si racconta una vita intera? Come si tiene insieme il progettista, l’appassionato dei monti, il ragazzo che lotta per la libertà? Tra tante parole e ricordi al funerale forse le parole migliori sono proprio quelle delle nipoti: «Un sognatore concreto».
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