“Con i guanti bianchi”: l’Italia dell’inizio del “secolo breve” raccontata nell’ultimo romanzo di Giosuè Romano
Andrea Ganugi, amico ed ex collega alle scuole superiori, presenta e commenta l'ultima fatica letteraria del docente scrittore, poeta e sceneggiatore
Giosuè Romano, laureato in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli, ha insegnato letteratura e Storia nelle Scuole Superiori di Varese e provincia, dove vive da oltre 40 anni.
Da qualche anno in pensione, continua a portare avanti quella carriera parallela di divulgatore teatrale e letterario che lo ha sempre contraddistinto come una delle più brillanti figure di intellettuale sul nostro territorio.
Ora con questo romanzo – Con i guanti bianchi, Guida editore, 2024 – sembra voler condensare tutto il suo sapere attingendo dal mondo contadino il rapporto con la terra, la sua cultura, le sue credenze religiose, la sua magia.
Non solo conoscenze letterarie, ma anche coltivazione dei prodotti agricoli e loro rielaborazione in cibo prelibato: pietanze, condimenti, dolci e quant’altro può essere assimilato non solo dallo stomaco ma anche e soprattutto dal sentimento.
I suoi colleghi e collaboratori (ed io all’Istituto Daverio-Casula-Nervi di Varese sono stato uno di questi), ricordano ancora uno dei suoi “capolavori” che non ci faceva mai mancare alla vigilia di Pasqua: la pastiera napoletana, quintessenza della tradizione culinaria della sua terra di origine.
La storia che racconta è ambientata a Sarraste, paese sulle rive del fiume Sarno, e copre un arco di tempo dal 1908 al 1925. Il protagonista è Domenico Pisacane, detto Mimì, classe 1908, che nel 1974 a 84 anni a causa di un ictus improvviso si trova a fare i conti con una morte che sopraggiungerà in pochi giorni.
Ma nel frattempo, mentre giace a letto apparentemente “inerte come un pezzo di legno” circondato dai suoi cari e dagli amici che sopraggiungono alla notizia del suo malore, egli rivive tutta la sua vita e, ancora di più, tutti i ricordi che lo legano ai suoi ascendenti.
Con questo espediente Giosuè Romano ha modo di raccontare l’Italia dell’inizio del Secolo breve indietro fino all’Ottocento risorgimentale: Mimì è infatti discendente di quel Carlo Pisacane protagonista di un episodio famoso quale la sua spedizione a Sapri contro i Borboni, finita tragicamente.
In realtà il racconto di Romano riguarda l’Italia tutta, con i suoi apparentamenti familiari, sociali e politici e con le sue divisioni ricorrenti, saldamente legata a quella realtà rurale di cui si diceva: qui due famiglie che si uniscono nonostante le differenze ideologiche, i Pisacane e i Pepe, vivono le proprie vicende personali e pubbliche in maniera emblematica per il lettore, che ha l’opportunità di riconoscersi in ciò che a sua volta ha vissuto di simile e nel contempo scoprire tutti quegli aspetti che non aveva mai considerato prima.
Il Risorgimento, la Grande Guerra, il Fascismo e l’Antifascismo vissuti dal suo eroe Domenico Pisacane, dai suoi congiunti ed amici, ma anche dai suoi avversari sono eventi storici che Giosuè Romano coltiva come un contadino e impasta come un cuoco che sa bene quello che fa perché l’ha appreso, conosciuto e condiviso con grande attenzione ed amore.
Un amore che pervade la vita dei suoi personaggi e che ci contagia, indicandoci la via maestra per la realizzazione personale di ciascuno di noi durante tutta la propria esistenza.
In attesa di quel finale, che Mimì Pisacane rivive a conclusione della sua vita e del romanzo: l’arrivo di sua nonna, Luciella la Janara, splendidamente vestita di rosso come il nipote l’aveva vista da piccolo. Una magica figura di donna sapiente e veggente, che gli appare chiedendogli se è pronto a quel trapasso ormai necessario.
E per rassicurarlo sul felice esito di questo epilogo lei lo prende per mano come il bambino di un tempo, raccontandogli una storia: “Al tempo di quando gli animali parlavano, un lupo ed una volpe che si chiamavano Isengrino e Renardo, andarono a rubare il pane in un forno qui vicino …”.
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