Dopo Matteotti: quando Malnate si ribellò al regime fascista
Ci fu una vera rivolta, di fronte agli arresti preventivi di otto militanti. In provincia tumulti anche nel Gallaratese, a Trevisago, a Sesto. Una opposizione popolare al fascismo che proseguì negli anni
Dopo il rapimento del 10 giugno e l’omicidio di Giacomo Matteotti, Benito Mussolini se ne assunse la responsabilità politica. In una fase di nuove violenze squadristiche non mancò la reazione degli antifascisti. Guidati dalle classi popolari, operai e operaie in giro per tutta la provincia.
Un nuovo contributo del ricercatore Claudio Mezzanzanica
Il 3 gennaio 1925, sei mesi dopo l’omicidio Matteotti, Mussolini ne rivendica la responsabilità politica e morale con un drammatico discorso alla Camera. Al discorso fa seguire i soliti atti terroristici. Le squadracce tornano in azione in tutto il paese. A Roma vengono assaltate la sede del Partito Popolare e le redazioni dei giornali di opposizione. A Bologna viene assalita addirittura la redazione del giornale satirico “Il Mulo”.
Dove non arrivano le squadracce si muovono gli apparati dello Stato. In tutta Italia vengono arrestate preventivamente migliaia di persone che potrebbero organizzare manifestazioni di dissenso e di rivolta. Anche a Malnate capita la stessa cosa. E’ la sera della Epifania. Otto militanti della sinistra vengono ricercati dai carabinieri per essere trattenuti in caserma. Sei vengono catturati, due riescono a fuggire allertati da amici e compagni. Alle 18:00 i sei sono in caserma e il comandante comunica a Varese che gli arresti sono avvenuti senza trovare resistenza. Alle 21:00 si forma un corteo che dalla piazza si dirige verso la caserma per esigere la liberazione degli arrestati. Il corteo si muove al suono delle campane della Chiesa che attirano altre persone.
Alla fine saranno più di seicento ad assediare la caserma. I carabinieri tentano la fuga ma non riescono ad uscire dall’edificio. Da Varese non arrivano rinforzi dalle forze dell’ordine ma arrivano i fascisti. Gli assedianti non si intimidiscono, anzi sparano. È un moto di popolo a cui partecipano anche le donne. Solo a notte fonda da Varese arrivano i carabinieri e gli scontri si allargano nelle strade del paese.
Il mattino dopo non torna la calma. Gli operai delle fabbriche di Malnate sembrano andare al lavoro. Invece si forma un nuovo corteo di duecento persone che torna alla caserma per chiedere il rilascio degli arrestati. Nuovi scontri ed ulteriore arrivo di carabinieri e polizia per presidiare il paese. Inizia una delle retate più capillari della storia del Varesotto. Vengono perquisite ottanta abitazioni. Vengono eseguite centotrenta perquisizioni personali. Vengono arrestate diciassette persone, due di loro sono donne. Tra gli arrestati anche il sagrestano, reo di avere dato le chiavi per permettere di suonare le campane a stormo. Sarà tra i tre che verranno rinviati a giudizio per i tumulti per esser assolti nove mesi dopo.
I fatti di Malnate finiscono sulla stampa nazionale. Per l’Avanti, il quotidiano del partito di Matteotti, quanto avvenuto è la testimonianza che il regime non ha il consenso che millanta di avere. Per i giornali che appoggiano Mussolini questa è invece la dimostrazione che molto c’è ancora da fare per stroncare i sovversivi.
Malnate non è sola. Tumulti avvengono a Trevisago, Ternate, Gazzada, Comabbio. A Gorla Maggiore i carabinieri intervengono per presidiare il paese e chiudono i circoli vinai e cooperativi. La chiusura dei circoli avviene un po’ ovunque: a Verghera, Gallarate, Cimbro di Vergiate, Sesto Calende, Samarate. Si chiudono i circoli, anche se ormai formalmente sotto il controllo dei fascisti, perché continuano ad essere il luogo di ritrovo di una popolazione operaia rimasta ostile al regime. Tra un bicchiere di vino e l’altro ci si scambiano pareri e informazioni, ci si rincuora. La chiusura è l’unica strada per impedire momenti di socialità “sovversivi”.
Otto giorni dopo Malnate tocca a Besozzo. Qui è stato assalito un fascista. Da tempo, dopo il delitto Matteotti, i carabinieri segnalano una ripresa delle attività da parte dei socialisti. Anche a Besozzo si svolge una retata in grande stile e alla fine quattro operai verranno rinviati a giudizio.
Bisogna dire che i giornali di destra che vedevano in Malnate un esempio della irriducibilità di questo mondo operaio avevano ragione.
Alcuni degli arrestati, nei mesi successivi, daranno vita ad un periodico locale che diventerà uno strumento di agitazione sociale. Chiuso anche quello dalle autorità fasciste daranno vita ad una associazione sportiva denominata i Ratt. Era così sportiva che nel 1927 venticinque di loro finiranno davanti al Tribunale Speciale e sei al confino. I Ratt si trovavano per correre nei boschi intorno al paese ma parallelamente organizzavano riunioni politiche e distribuivano materiale di propaganda che arrivava dalla Svizzera. Erano e restavano “sovversivi”.
Le schedature della polizia, continuate fino alla caduta del regime, ci danno il quadro degli arrestati nei giorni del delitto Matteotti. Sono individui irriducibili, come lui. Magari emigrano per trovare lavoro, magari sembrano rassegnati, ma le note degli agenti confermano che non hanno cambiato opinione. Troveremo alcuni di loro pronti dopo il 25 luglio e dopo l’8 settembre.
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