Occhi rossi e maglie da concerto per l’addio a Paolo Carù, “elargitore di gioia”

Da un lato il dolore, dall'altro la gratitudine per una passione raccontata, condivisa, incoraggiata. L'ultimo saluto al titolare di Carù Dischi e animatore di Buscadero

Funerale Paolo Carù

Per quanto solida possa essere l’eredità di un uomo, nulla può cancellare il dolore.
E al funerale di Paolo Carù tanti erano in bilico tra due sentimenti, la gratitudine e il dolore, gli occhi rossi e l’episodio rievocato con il sorriso.
Si è stretta a lui una città – Gallarate – ma soprattutto una comunità, quella dei rocker, degli appassionati di blues, del grande delta di mille rami diversi nato dalle radici profonde della musica americana.

Così tra assessori e gallaratesi amici di famiglia spuntano camicie larghe, barbette, le magliette indossate come fosse un concerto, di quelli in cui metti la maglia del gruppo o qualcosa di affine: Bruce Springsteen e Ben Harper, i giorni di Monterey e la Sun Records, Jimi Hendrix  e gli Allman Brothers sul sagrato della basilica di Santa Maria Assunta, poche centinaia di metri dal negozio di dischi.

«Costruttori di pace sono anche quelli che creano legami, nel suo servizio ha fatto incontrare persone, fatto conoscere artisti, dato a tanti la possibilità di far emergere la propria sensibilità» lo ha ricordato nell’omelia monsignor Riccardo Festa. 

Funerale Paolo Carù

Un costruttore di ponti, un pontefice, come lo ricordava pochi giorni fa con bella immagine uno degli artisti che ha valorizzato nella sua carriera da editore e critico, con Buscadero.
C’erano tanti musicisti che hanno avuto una occasione grazie a Paolo Carù, una carriera magari non di grandi ribalte ma con il privilegio di poter trasmettere qualcosa ad altri, far cantare e divertire, anche se poi nella vita magari si fa anche altro. Non per denaro ma per passione.

In basilica lo hanno salutato commossi gli amici del Buscadero, il direttore Guido Giazzi e Francesco Caltagirone. Un saluto a un uomo sempre fedele ad una sua etica e anche all’utopia degli anni Sessanta-Settanta, trasmessa anche dalla musica. «Per molti burbero e chiuso, per me eri un fratello più grande, compagno di viaggio» lo ha ricordato Giazzi. Racconto di un’amicizia lunga, ma venato dal dolore. «Non siamo immortali, basta un colpo di vento per distruggere le nostre vite».

«Elargitore di gioia» lo ha chiamato Caltagirone. «La sua vita ha portato comprensione attraverso il suono delle chitarre, abbattendo ogni frontiera, cancellando pregiudizi. Un ideale a cui la mia generazione non ha mai voluto rinunciare. Salutaci Jerry Garcia, lassù».

«La tua eredità culturale non andrà dispersa». Ed è un patrimonio di conoscenze, di scritti, due esperienze – il negozio e il Buscadero – che sono storie collettive e su cui tutti s’interrogano.

«Basterà una canzone per farti rivivere in noi». Sul sagrato ci si dà appuntamento al Buscadero Day del 21 luglio, momento atteso ogni anno, quest’anno con spirito diverso.

Accanto alla bara c’è il lamento dell’armonica, poi un violino che suona la malinconica aria dell’addio degli emigranti di Derry, il “Danny boy”.
’tis you must go and I must bide.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 20 Giugno 2024
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