Quando Marta disse: “Ucciderà qualcuno di noi”, in tribunale a Varese l’orlo dell’abisso

Il racconto fiume della madre di Lavinia Limido, oggi uscita dall’ospedale. “La nostra vita devastata da quell’uomo, non potevamo più uscire di casa”

Generico 03 Jun 2024

«Buonasera signor giudice. Ora devo andare. Vado a prendere mia figlia, la riporto a casa».

Tre ore piene, forse di più per le domande del pubblico ministero, poi della parte civile e poi ancora della difesa dell’imputato di stalking Marco Manfrinati che le cronache di tutt’Italia conoscono come l’omicida del suocero e l’uomo che sempre secondo l’accusa ha cercato di uccidere anche la moglie Lavinia Limido: è sua madre Marta Criscuolo che dopo una testimonianza fiume difficile da vedere nei procedimenti dinanzi al giudice monocratico per reati legati ad atti persecutori, quasi si libera. Si illumina. Perché è certo che il reato su cui si dovrà accertare la responsabilità penale è quello di stalking, ma sempre, in queste tre ore dove si è visto lo sprofondo di una famiglia in cerca di aiuto dallo Stato per affrontare momenti di paura, sempre il convitato di pietra del racconto è stato la morte.

Ascoltare una donna obbligata a ricordare, a dire, «mio marito è stato assassinato», sentirglielo pronunciare a un mese scarso dai fatti (6 maggio) è stato qualcosa di molto difficile da affrontare anche per le stesse parti che hanno indagato, scavato e sezionato i fatti oggetto del procedimento. E dunque sentire una donna di certo stanca e oscurata dai ricordi pronunciare quella frase: «La vado a prendere, la riporto a casa», suona come qualcosa di proiettato verso il futuro: la notizia di una probabile dimissione in giornata è diventata difatti  una certezza, con l’arrivo della ragazza nella sua casa, in serata.

Il resto della deposizione è stata per gran parte la ripetizione del contenuto delle carte processuali e prima ancora dei racconti proposti all’indomani e del tentato omicidio e dell’omicidio di Fabio Limido.

LE AVVISAGLIE
Dunque la coppia Limido – Manfrinati che si sposa nel 2017, prima l’appartamento a Varese di proprietà  della famiglia Criscuolo-Limido, poi il trasferimento a Busto in un immobile di proprietà di Marco Manfrinati e quelle “spie” di quanto stava succedendo nella relazione fra lui e Lavinia che si accendono una ad una: il suppellettile regalato per il matrimonio da un amico di famiglia sparito: «Dov’è?», chiede la mamma alla figlia: «L’ha rotto Marco». Quei segni sul muro? «Un pugno di Marco». La doccia rotta? «L’ha spaccata Marco». Poi il covid che quasi ha congelato i rapporti famigliari, ha isolato gli sposi, col loro bambino, e i famigliari della donna. Lavinia che si scava una sua indipendenza economica. Un tarlo, forse, nella testa dell’uomo, ex avvocato quarantenne, comincia a lavorare: «Era convinto che il suo matrimonio fosse di convenienza. E quando Lavinia ha cominciato a lavorare in autonomia si è ribellato, ha cominciato a dare segni di insofferenza, non lo sopportava. Ha cominciato a darci degli straccioni, era convinto che mio marito evadesse le tasse, che io bevessi solo per via di un vecchio alambicco, io che sono patita sì di enogastronomia, non di certo un’alcolista», ha specificato la donna.

LA FUGA
Una situazione diventata nel racconto di Marta Criscuolo presto insostenibile con offese continue di stampo razziale che Manfrinati rivolgeva ai suoceri. Comportamenti violenti, col pugno sferrato al povero Fabio Limido che si ribella alle offese del genero indirizzate alla moglie. E il progetto di fuga portato a termine da Lavinia che nel luglio 2022 scappa da Busto Arsizio, ripara prima nella villa un’amica di famiglia, fuori provincia, poi a casa dei genitori in una sorta di dependance risistemata. «Aveva perso dieci chili, non era più lei, viveva nel terrore e la prima cosa he fece una volta arrivata a Varese fu quella di dirmi: “Ho salvato mio figlio”».

LE PERSECUZIONI
Qui, in un contesto temporale con precisione ricostruito cominciano le persecuzioni fisiche alla famiglia Limido-Criscuolo secondo la testimone sentita in aula: un campionario di paure fatto di gomme dell’auto tagliate, lunotti infranti, attese fuori casa, danni alle cancellate, tentativi di intrusione, messaggi, vocali, telefonate e tutto l’armamentario dello stalking che si sente in maniera ossessiva proprio nelle medesime aule di tribunale. Denunce su denunce, il sofferto ammonimento chiesto al questore di Varese. Poi la grave minaccia pronunciata al telefono e intercettata rivolta all’avvocato di Lavinia e della stessa ex moglie: «Do una martellata in faccia all’avvocato e la sgozzo». Da qui la misura “contestata“, ritenuta insufficiente, del divieto di avvicinamento, circa un anno fa. Fino ai fatti di maggio.

LE CONTROMISURE
Ma come si vive in un contesto simile? Si vive in un presente fatto di guardie del corpo, travestimenti, spray al peperoncino in tasca, «camere blindate» pronte all’uso e continue e denunce diffuse, alcune contro ignoti, insistenze reiterate alla polizia affinché venisse preso un provvedimento con la frase di troppo: «Se non fate qualcosa va a finir che lo ammazzo», rivolta al genero da Marta, che ha dovuto subire pure la beffa di una perquisizione della polizia che opera un ritiro cautelativo di una scacciacani col tappo rosso e di un fucile ad aria compressa usato per allontanare i corvi dai “codirossi“ che Fabio Limido adorava e che nidificano nel giardino della grande villa nella zona dell’Ippodromo.

«Signor giudice, io l’avevo detto: “Ucciderà qualcuno di noi”», ha concluso la teste ricordando «la terza coltellata rivolta a Lavinia sviata da mio marito, a cui rendo oggi onore per il gesto che ha fatto». Un interrogatorio in alcuni momenti duro che ha trovato la testimone particolarmente combattiva nelle risposte al controinterrogatorio della difesa dell’imputato.

Alle tre, dopo un bicchiere d’acqua, con le finestre aperte al primo piano del tribunale, un sospiro: «Vado. Vado a prendere mia figlia, la riporto a casa».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 05 Giugno 2024
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