Mia figlia
di Fabrizio Tummolillo
Quando voglio parlare con mia figlia vengo qui, alla panchina sotto quest’albero. Mi siedo e attendo che si alzi un po’ di vento. È necessario che si muova l’aria e basta anche la brezza della sera. Sono le foglie a formulare le parole ma è l’aria a portarmele. Credo funzioni in questo modo. Non è un albero qualsiasi. È un acero di monte. Non lo sapevo, me l’ha detto il mio amico Remo. Al vivaista avevo chiesto un albero qualunque purché avesse cinque anni d’età. Non sembrava capire la richiesta. Ha fatto storie poi me ne ha mostrato uno.
“Questo è nato da seme cinque anni fa”
“Lo compro”
“Il nome scientifico è Acer pseudoplatanus” mi ha spiegato Remo. Lui se ne intende. “Trascorrerai le giornate alla sua ombra, fra qualche anno” ha aggiunto.
Poi mi ha dato una pacca leggera sulla spalla, come un incoraggiamento.
Siamo andati a piantarlo in un campo in fondo alla sua proprietà in collina.
Le prime volte passavo da casa ad avvisarlo che venivo da mia figlia.
Mi ha detto di non preoccuparmi, di non stare a dirglielo ogni volta. Tempo dopo ha messo la panchina. È sempre stato un amico. Mia figlia aveva cinque anni. Per questo ho insistito con il vivaista: era nata lo stesso anno dell’albero che volevo comprare. Le sue ceneri le ho poggiate nella buca, vicino alle radici. Ho ricoperto di terra e Remo ha dato l’acqua. Basta una brezza leggera e riesco a sentirla. Stasera le sto chiedendo scusa per quella volta che l’ho sgridata fino a farla piangere. Aveva sbriciolato il sigaro lasciato sulla scrivania per dopo cena.
“Non pensarci, papà. Non avere rimorsi. Eri stanco, avevi lavorato tutto il giorno”.
Sono passati quindici anni da quando ho piantato l’acero. In questo tempo la sua voce è diventata quella di un’adolescente poi di ragazza poi di una giovane donna.
“Non preoccuparti. Davvero. Ti voglio bene, papà”.
“Anch’io”. Oggi con le sue parole il vento ha portato un seme. Sembrava una piccola elica, è sceso ruotando su se stesso.
“È la samara, il frutto dell’acero di monte – ha detto Remo quando gliel’ho mostrato -. Ognuna contiene due semi. La forma permette al vento di portarle lontane”.
Invece a me era scesa nel palmo della mano e questo mi ha fatto impressione perché se l’avessi piantata in un vaso e poi in terra come ha consigliato Remo, se me ne fossi preso cura, sarebbe nato un nuovo acero e tutto questo sembrava avere senso compiuto, come un cerchio che si chiude, per farmi fare pace con il padre che non sono riuscito a essere, per lasciare fluire le cose.
Con leggerezza, come l’abbraccio dato a quell’albero prima di andarmene sentendoci dentro il respiro di mia figlia.
Racconto di Fabrizio Tummolillo (www.ilcavedio.org). Finalista XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, sezione Alberi nel mondo, dedicata a Maniglio Botti e sponsorizzata da Edizioni IL CAVEDIO.
TUTTI I RACCONTI DELLA DOMENICA
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Con questo racconto va in vacanza anche la rubrica. La pubblicazione de “Il racconto della domenica” riprenderà nel mese di settembre.
Buone vacanze
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Molto commovente e pieno di amore.
L’amore di un padre per una figlia è immenso e non si può misurare.
Per un padre la cosa più bella e sentirsi dire dalla figlia: Ti voglio bene papà.
Ma la vita continua ed i ricordi ti riempiono il cuore.
complimenti Fabrizio
auguri per la vita
giuseppe