“Abbiamo perso un monumento nazionale”, in tanti per l’ultimo saluto al maestro Nino di Azzate
Chiesa gremita per i funerali di Antonino Di Gregorio scomparso a 102 anni e mezzo mentre era in vacanza in Romagna. Don Cesare ne ha ricordato il valore
«Sono tante le ragioni per piangere chi muore a 102 anni: la prima è che perdiamo un monumento nazionale».
È cominciata così la bella predica di Don Cesare che ha accompagnato i funerali di Antonino Di Gregorio, per tutti “Nino”, il maestro di Azzate scomparso a 102 anni e mezzo la notte di lunedì 26 agosto, mentre stava trascorrendo qualche giorno di vacanza al mare, in Romagna.
Gremita la chiesa prepositurale della Natività di Maria Vergine: non solo i parenti, venuti anche da lontano, ma gli amici, gli ex alunni, i rappresentanti delle amministrazioni presenti e passate, e le tante persone che lo hanno conosciuto.
«Chi ha superato i cento anni – ha continuato Don Cesare – ha visto tante cose, ha fatto la guerra e custodisce esperienza e ricordi che poi affida agli altri. Antonino era un uomo retto: lo si vedeva da come stava in chiesa. Ogni sabato e domenica pregava, assorto, senza distrarsi e faceva ancora le genuflessioni. Era un grande esempio che ci fa riflettere: come possiamo noi diventare esempio per gli altri?».
E non potevano mancare i ricordi degli anni in cui Nino ha insegnato, oltre trenta: «La sua passione educativa era davvero ammirevole – ha detto ancora il parroco – ma anche l’amore per il lavoro in senso assoluto. A cent’anni ancora curava il giardino e l’orto. Non fare niente, per lui, equivaleva ad oziare».
Alla fine della messa il nipote ha suonato Hallelujah di Leonard Cohen perché Nino era un amante dei viaggi e della musica.
Il figlio Alessandro Di Gregorio ha salutato così il papà: «Noi siamo una famiglia fortunatissima perché abbiamo potuto godere di una straordinaria persona per 102 anni, sempre con gioia e serenità».
Anche il “piccolo” nipote Ale, venuto da Roma, ha preso la parola alla fine della cerimonia funebre: «La gioia e la pienezza della vita di zio Nino sono stati i semi che ha piantato dentro ognuno di noi. Penso che continueremo a mangiare del suo orto ancora per molto».
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