Addio a Carlo Metelerkamp, il partigiano cosmopolita

Figlio di un pittore e di una giornalista olandesi, animò un piccolo gruppo di resistenti di idee liberali nella zona sopra il lago di Varese

Carlo Metelerkamp

È scomparso a 98 anni di età Carlo Metelerkamp, figura originale dei paesi di Barasso e Comerio. Figlio di un olandese e di una olandese innamorata dell’Italia, fu partigiano antinazista animato da spirito cosmopolita, poi in tempo di pace anche appassionato di hockey e pattinaggio su ghiaccio (tradizioni nordiche che già avevano radici a Varese).

I funerali di Carlo Metelerkamp si terranno lunedì 5 agosto alle 16 nella chiesa parrocchiale di Barasso, uno dei soggetti che erano stati ritratti da suo padre, il pittore Hermann.

Hermann Metelerkamp – nato nel 1898 nel Borneo inglese da padre olandese e madre indonesiana – era arrivato in Italia sulle orme del Grand Tour di un tempo, era passato da Vienna e dalla Milano dei futuristi, aveva abitato anche a Venezia, prima di stabilirsi sulle colline sopra il lago di Varese, a Cugnolo di Comerio.
Scoppiata la guerra, il padre innamorato dell’Italia e la madre giornalista fecero della casa un punto di transito per soldati Alleati fuggitivi e anche di disertori tedeschi (i disertori tedeschi e di altri popoli costretti in divisa al servizio del Reich non furono casi isolati, in quegli anni).

In quel frangente anche il giovanissimo Carlo decise di aderire alla lotta antifascista e antinazista, con il nome partigiano di “Pupo”. La sua piccola formazione – una ventina di giovani volenterosi, intenzionati a recuperare armi – si chiamava “Battaglione Italia”, era comandata dall’amico Carlo Dolcetta ed era legata al partito liberale.

Negli ultimissimi giorni di guerra, il 19 aprile 1945, Carlo fu catturato dai militi della Brigata Nera “Dante Gervasini”, i più intransigenti tra i fascisti repubblichini. Erano in cinque quel giorno, furono fermati in via del Colle all’angolo con la Statale: i brigatisti uccisero Emilio Ossola che tentò la fuga. Gi altri furono fatti prigionieri per una settimana, malmenati, prima di essere liberati alla vigilia del liquefarsi del regime fascista, il 24 aprile.

«Avrei avuto l’opportunità di conoscere il nome della spia che favorì la nostra cattura, ma non ho voluto saperlo, ritenendo inutile perpetrare quella catena d’odio, memore degli insegnamenti dei miei genitori» ha detto anni fa in un’intervista raccolta da Federica Lucchina per “Menta e Rosmarino” (da cui è anche tratta la foto storica che apre l’articolo).

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 04 Agosto 2024
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