“Sono infermiera in ospedale: amo il mio lavoro e vi spiego perché”

Anna da nove anni lavora in corsia. Nonostante i turni massacranti, i riposi saltati, i weekend di servizio, le notti non cambierebbe nulla della sua vita

Giornata internazionale dell'Infermiere

Anna è un’infermiera. Lavora nel reparto di un ospedale del Varesotto. Da nove anni è in contatto con i pazienti, li ascolta, li prende in cura, li segue nel loro percorso : «Sono esattamente nel posto in cui voglio essere, in corsia, al fianco delle persone che si affidano a me». Nonostante il lavoro gravoso, lo stress, il rischio burn out, i mancati riposi, i turni di notte e nei weekend, Anna non cambierebbe nulla della propria vita.

È in corsia che ogni giorno capisco il valore del mio lavoro

Anna non è il suo vero nome ma non vuole apparire personalmente perchè lei sa di parlare a nome di tanti suoi colleghi e colleghe che quotidianamente entrano in ospedale per fare il proprio lavoro: « Sono arrivata a questa professione un po’ tardi, spinta da una storia personale che mi ha aperto gli occhi sul valore emotivo e umano del prendersi cura, del fare la differenza nella sofferenza di chi incontriamo. I miei esordi sono stati sul territorio, a domicilio, poi sono entrata nei poliambulatori e lì ho capito che volevo lavorare in ospedale. Proprio nel posto che richiede maggiori sacrifici in termini di vita privata e famigliare…. Eppure è qui che mi sento ogni giorno importante, che capisco il valore del mio impegno».

Tra i giovani manca la percezione della bellezza di questa professione

Anna ha fatto il corso anni fa, quando ancora il lavoro dell’infermiere sembrava godere di seguito: « Quando ho fatto il concorso per l’assunzione eravamo in 5000 candidati. Al termine di tutte le prove, la graduatoria era di circa 600 idonei. Non so cosa, quando o perchè sia venuto meno l’appeal della figura dell’infermiere. Oggi, credo che manchi la percezione del bello di questa attività. Io ho toccato con mano  quanto importante fosse il mio modo di lavorare durante il covid. Tutti bardati, chiusi in tute, guanti, visiere, comunicavamo molto con gli occhi ed è stato in quei due anni di reparto Covid che ho imparato a leggere la luce negli occhi delle persone. Soprattutto, ho capito quanto fosse importante per loro sentirsi ascoltati, accuditi, … visti. Io mi avvicino al letto di un degente sempre con il sorriso, salutandolo e chiedendogli come sta. Quelle poche parole instaurano una relazione che è importante per conquistare la loro fiducia. Certo, non sempre si riesce, persone che si chiudono totalmente e ti respingono ci sono: ma è comprensibile perchè vivono una condizione che non si aspettavano, una fragilità che magari non accettano o non vogliono capire e diventano scontrosi. È compito mio entrare in contatto e convincerli ad affidarsi».

Siamo punti di riferimento per il paziente e la sua intera rete

La presa in carico da parte di un infermiere non si limita al paziente ma si allarga a tutta la rete di contatti: « Quando arrivano in reparto noi sottoponiamo loro un questionario con cui raccogliamo informazione che servono sia a capire cosa è successo sia a valutare il futuro per dimissioni in sicurezza. Queste sono le diagnosi infermieristiche che si allargano a tutto il contesto famigliare. È una caratteristica solo dell’infermiere che tiene i contatti con i degenti, siamo noi i punti di riferimento in corsia».

La forza del lavoro è nell’equipe

Ma in un periodo storico come quello attuale, con poco personale e tanta richiesta, come si evita il burn out?

«La forza del lavoro in ospedale è l’equipe: dal confronto, dal sostegno reciproco arrivano soluzioni ai problemi. Non sempre si crea la squadra, a volte le situazioni sono più complicate. Il nostro ruolo è complesso:siamo infermieri, psicologi, consulenti, confidenti e spesso amici. Ed è in questo legame che nasce il valore impagabile del mio lavoro e di cui non potrei fare a meno. Nonostante i turni, lo stress, il numero sottodimensionato di personale, io non lascerei mai l’ospedale, soprattutto per andare a lavorare in Svizzera. Io ho provato cosa significa e non tornerei di là dal confine per nulla al mondo. Poi diciamocelo, oggi non possiamo dire che guadagniamo poco: arriviamo ai 1700/1800 euro mensili. E mi sembra un compenso dignitoso».

Ho capito che posso fare la differenza per chi soffre

Viste le gratificazioni che quotidianamente Anna riceve dal suo lavoro, fa fatica a comprendere la poca attrattività tra i giovani di questa carriera: « Io ho scelto di fare l’infermiera per la mia storia personale di cura di persone della mia famiglia. Ho capito che potevo fare la differenza in chi soffre. Forse oggi i giovani hanno meno determinazione, non vivono appieno il senso profondo del prendersi cura degli altri. Rimangono legati a schemi parziali e non vanno oltre ciò che si chiede».

Salviamo vite non perchè siamo supereroi ma perchè abbiamo le capacità di intervenire

Magari è anche questione di carriera. Che possibilità di progredire ci sono?

«Molte: ho colleghi che si sono specializzati in determinati settori. Io non credo che questa sia una professione che approfondisci sui libri. È la pratica quotidiana e l’esempio che ti permettono di migliorarti: agli studenti che vengono a fare il tirocinio in reparto consiglio sempre di sfruttare quel periodo per assorbire il più possibile  la pratica, le tecniche. La teoria va bene ma poi è un mestiere che si impara facendo. E quando acquistiamo le competenze vere, possiamo fare la differenza, salvare vite non perchè siamo supereroi ma perchè abbiamo le capacità per intervenire».

Anna è reduce da due turni di notte e la incontriamo poco prima di pranzo: « Non vado a dormire perchè mi rovinerei il sonno della notte. Sono sacrifici, devi avere attorno a te persone che comprendono e ti appoggiano nelle scelte. Io sono fortunata e posso contare sul sostegno di chi mi sta vicino. Ho provato diversi lavori. Ecco perchè oggi dico con certezza: sono nel posto giusto e nel ruolo giusto per me. Anche noi, come diceva Florence Nightingale, siamo artisti che non lavoriamo con tele o marmo ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 10 Agosto 2024
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