“Caso Binda“, il risarcimento per ingiusta detenzione impugnato anche dalla Procura generale
Oltre all'avvocatura dello Stato, e al diretto interessato che vuole un riconoscimento pieno, si accoda alla selva di ricorsi anche l'organo requirente
Oltre all’Avvocatura dello Stato, e al diretto interessato che vuole un riconoscimento pieno, si accoda alla selva di ricorsi anche la Procura generale che ha impugnato l’indennizzo stabilito dalla corte d’Appello di Milano per l’ingiusta detenzione subita per tre anni e mezzo da Stefano Binda.
Una storia infinita che parte con l’arresto nel gennaio 2016 dell’allora 49enne, in carcere ingiustamente per oltre tre anni e mezzo, e che si conclude con la sua liberazione per sentenza che da ergastolo diventa di assoluzione, poi confermata in Cassazione: non fu lui ad uccidere Lidia Macchi.
E qui (siamo al 2021, quasi 5 anni fa) si innesta la richiesta di un equo indennizzo presentata allo Stato italiano per l’ingiusta detenzione: una moltiplicazione teorica che ferma l’asticella a 303 mila euro: partono le carte bollate e le richieste di indennizzo presentate dagli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito e dopo un lunghissimo periodo di attesa giunge prima il riconoscimento della cassazione ai 303 mila euro di indennizzo, ricorso impugnato da Procura generale e Avvocatura che riporta la questione in corte d’Appello la quale pochi giorni fa ha deciso, ma per 212 mila euro di indennizzo: pari cioè al 70% della cifra richiesta per il comportamento «confuso» tenuto dall’imputato nel corso delle escussioni testimoniali durante il processo in primo grado.
Binda spiega che il suo comportamento processuale durante il primo grado non poteva essere accondiscendente verso accuse che egli stesso riteneva del tutto infondate e di mera natura indiziaria – come poi avvenuto e riconosciuto da ben due giudici e pertanto non era da attribuirsi al suo comportamento alcun profilo di colpa lieve. E ha fatto ricorso per avere la cifra complessiva.
Ricorso, ma in senso avverso, è stato prima promosso dall’Avvocatura dello Stato, e poi, nelle ultime ore, presentato anche dalla Procura generale per questioni procedurali, per erronea applicazione della legge, e per «mancanza o illogicità della motivazione».
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