La nebbia
di Carlo Zanzi
Cinquantasette anni dopo ho fatto le mie ricerche e ho trovato… Sì, perché le paure si imparano da ragazzi, poi la vita serve per stemperarle. Sino alla paura definitiva. La mia paura della nebbia è nata il 22 gennaio del 1967. Il mio vicino di casa si chiamava Gino, aveva una figlia di nome Carla, una Seicento e la passione per la Ignis, il basket di Varese che vinceva tutto. Il signor Gino, non alto, grasso, calvo e gentile, disse a me e a mio fratello: “Volete venire con noi a vedere la pallacanestro a Milano?” Come no. E via in Seicento. Tutto bene all’andata, anche al Palalido.
Vittoria dei gialloblù per 111 a 87. Rientro assonnati ma felici. Poi, appena fuori Milano, non so bene dove, ecco davanti a noi il muro bianco, iceberg di vapor d’acqua fredda non congelata, contro il quale andò a sbattere il Titanic guidato dal Gino. Con la figlia Carla che – immagino – rassicurava il padre, e soprattutto noi.
Come è mia abitudine non dissi nulla, tenni in cassaforte la paura che cresceva, che mi terrorizzava. Sentivo lo schianto, il dolore, vedevo il sangue e la fine della mia esistenza appena nata. Ciò non avvenne e oggi ringrazio. Oggi che la nebbia mi spaventa solo di striscio. Le deboli luci della Seicento servivano a poco. Il Gino si piegava verso il volante (non lo ricordo, lo immagino), spazzolava il cristallo con uno straccio, forse bestemmiava. Intuiva la via, sorretto dalla striscia bianca, alla quale si aggrappava come un alpinista sulla roccia. Varese mi parve il luogo perfetto per nascere. Suppongo che la nebbia ci abbia lasciato dalle parti di Castronno, dove lavorava mio padre.
Il Gino è morto da tempo, sua figlia Carla se ancora vive è molto anziana. La loro Seicento è finita rottamata e magari quel metallo è diventato il cancello di casa mia. Ma quando sono in auto nella nebbia brutta, pastosa, lattiginosa, mi piego in avanti, stringo il volante e ripenso al signor Gino.
Racconto (e foto) di Carlo Zanzi (www.ilcavedio.org)
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