Lago di Varese, digital detox a due passi da casa

Dalla sua formazione fino ai pescatori che lo hanno navigato, dalla natura al canottaggio. Ecco le mille sfaccettature del Lago di Varese

foto loredana cassetta oggi nel varesotto tramonto lago varese

Ah, autunno stagione da laghi. Ecco a noi il lago di Varese! Questo specchio d’acqua di quasi 15 chilometri quadrati, incastonato tra le Prealpi e la dolcezza delle colline varesine, ha una storia da raccontare che risale a ben 17.000 anni fa. Si formò alla fine dell’ultima glaciazione, quando il ghiacciaio del Verbano scavò una profonda conca ai piedi del Campo dei Fiori. In origine, era decisamente più vasto, tanto da includere anche i laghi di Comabbio e Biandronno, e la palude Brabbia, che, con le sue torbiere e canneti, resta tutt’oggi un prezioso rifugio per la fauna selvatica.

Un lago di pesci e di antichi diritti. Già nell’XI secolo, le popolazioni locali si dedicavano alla pesca, esercitando le loro libertà d’uso sulle rive del lago. Però, attenzione, con l’arrivo degli spagnoli e lo Stato di Milano, le cose cambiarono: i diritti di pesca finirono nelle mani dello Stato, per poi passare ai Biglia, ai Visconti Litta, e infine alla famiglia Ponti. Fu solo nei primi decenni del ‘900 che i diritti vennero venduti ai pescatori locali, che fondarono la Società Mutua Cooperativa dei Pescatori, con sede a Calcinate del Pesce. E qui non parliamo di una cooperativa qualsiasi: è stata il cuore pulsante dell’economia lacustre, regolamentando un’attività che ha sfamato generazioni di varesini.

La legge delle pioda: una questione di misure. Il pesce del lago non era solo abbondante, ma richiestissimo. Già ai tempi del Ducato di Milano, i prodotti ittici di Varese raggiungevano mercati lontani come Novara, Torino e persino la Francia. Un cronista dell’epoca, Sormani, lo descriveva con parole ammirate: “Abbonda questo lago d’ogni pesce d’acqua dolce, e anche la caccia è copiosissima e massima di quelli augelli detti polloni dalle proporzione dei nostri polli domestici”. La sua ricchezza naturale suscitava l’interesse di studiosi e viaggiatori, attratti dalla varietà di pesci presenti, come lucci, tinche, barbi, persici, scardole e anguille. In passato, l’attività dei pescatori era incessante, al punto che, persino nei giorni festivi, le reti si riempivano di pesci. Questa pratica, però, attirò l’ira di San Carlo Borromeo, che vietò la pesca nei giorni sacri per evitare offese a Dio, minacciando severi castighi. La pesca, infatti, era regolamentata da severe disposizioni per garantire il rispetto delle festività e, nel 1632, fu ordinato che i pescatori si astenessero da qualsiasi attività prima del segno dell’Ave Maria serale. E non si scherzava sulla vendita: ogni pesce veniva misurato sulle pioda, lastroni di serizzo con tacche che stabilivano la lunghezza e il prezzo. Se pensate che fosse tutto facile, sbagliate: guai a chi trasgrediva le regole, e persino la raccolta delle lumache lungo le rive era regolamentata. Chi violava la legge rischiava multe salate e, in casi estremi, la fustigazione.

Ma il lago non è solo pesce da vendere. Gli antichi pescatori sapevano bene come favorire la riproduzione delle specie pregiate. A inizio marzo, avveniva la posa delle fascine: rami legati con spago e appesantiti per rimanere sul fondo, diventavano una nursery sicura dove il pesce persico poteva deporre le sue uova. Una pratica che era un vero e proprio rituale integrato nelle tradizioni radicate delle comunità locali.

Il Barchét e le ghiacciaie di Cazzago Brabbia. Se parliamo di tradizioni, non possiamo dimenticare il mitico barchét. Questa barca dalla prua appuntita e dalla poppa spaziosa, perfetta per muoversi agilmente tra i canneti, è il frutto di secoli di ingegno artigianale. Spesso costruite dai pescatori stessi, queste imbarcazioni erano l’anima delle attività lacustri. E dove si conservava il pesce una volta pescato? Nelle giazzér di Cazzago Brabbia, strutture coniche in pietra costruite nel Settecento, che ricordano quasi i trulli pugliesi. Qui, il pesce si manteneva fresco, pronto per essere spedito nei mercati, inclusi quelli milanesi.

Stendhal e non solo. Il lago ha ispirato molti viaggiatori illustri nel corso dei secoli. Stendhal, durante un viaggio in Italia intorno al 1820, scrisse ai suoi amici entusiasta del pesce persico che avrebbe pescato sulle sue acque. Anche il filosofo francese Hyppolite Taine, tra il 1864 e il 1866, decantò i panorami che lo circondavano, paragonandoli ai dipinti di Claude Lorrain. E non si fermò qui: Richard Bagot, scrittore inglese, nel suo libro The Italian Lakes (1905) descrisse il lago come un luogo che conquista col tempo, affermando che la sua bellezza si svela solo a chi ha la pazienza di conoscerlo a fondo. Questo ci ricorda il vero gioiello del lago, l’Isolino Virginia, piccolo pezzo di terra che ha attraversato i secoli e le vicende umane. In origine, era noto come Isola di San Biagio e poi Isola di Donna Camilla Litta, finché Andrea Ponti, nel 1878, lo ribattezzò in onore della moglie Virginia Pigna. L’isola ospita i resti del più antico insediamento palafitticolo dell’arco alpino, scoperto nel 1863, e dal 2011 fa parte del patrimonio UNESCO come sito seriale dei “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”. Questo luogo è la testimonianza di una presenza umana che risale alla preistoria, un legame che unisce il lago a storie lontane migliaia di anni.

La Leggenda di Niero e Fazia. Una delle storie più suggestive legate al lago di Varese è quella del cavaliere Niero delle Rose e della sua amata, Fazia degli Oberti. La storia risale a tempi delle crociate, quando il cavaliere Niero attraversando le gelide terre della Lombardia. Era una fredda e nebbiosa notte d’inverno e Niero, desideroso di riabbracciare la sua sposa, avanzava a fatica lungo la strada innevata che scendeva da Varese verso la Valtravaglia, dove il castello di Fazia lo attendeva. Mentre si avvicinava a Gavirate, Niero fu assalito da un gruppo di briganti. Sorpreso e in pericolo, il cavaliere invocò la Vergine Maria, pregandola di proteggerlo. Spaventato ma determinato, spronò il suo cavallo a galoppare a briglia sciolta, lasciandosi dietro i briganti. Il cavallo corse attraverso un fitto bosco e poi si ritrovò a correre su un vasto campo coperto di neve e avvolto nella nebbia, come se non vi fosse alcun ostacolo. Quando finalmente gli sembrò di essere al sicuro, Niero fermò il cavallo per chiedere indicazioni a un contadino che incontrò lungo la strada. Scoprì così con stupore che aveva appena attraversato il lago ghiacciato di Varese, scambiandolo per un semplice campo innevato. Impallidì, realizzando il terribile pericolo che aveva corso senza saperlo. In segno di gratitudine per la protezione ricevuta, Niero decise di costruire due cappelle: una a Gavirate, dove oggi sorge la Chiesetta della Trinità, e l’altra ad Azzate, dove si trova il Santuario della Madonna. Le due cappelle, che ancora esistono, furono erette per commemorare il miracolo e la protezione divina, simboleggiando la devozione e la riconoscenza del cavaliere. 

Canottaggio e spirito zen. Oltre alla storia, alle leggende e alla pesca, il lago è un perfetto campo di allenamento per il canottaggio. Non a caso, qui si tengono le prove della Coppa del Mondo di Canottaggio alla Schiranna, un evento che richiama atleti internazionali attratti dalla tranquillità e dalla bellezza del luogo. Non sorprende che persino la nazionale australiana abbia trovato qui la sua “casa lontano da casa”, stabilendo un centro di allenamento a Gavirate. Ma il lago non è solo sport e competizione. È anche uno spazio di pace e riflessione. I suoi 28 chilometri di pista ciclopedonale invitano a lunghe passeggiate e pedalate tranquille, da cui si possono ammirare i romantici tramonti dal lido di Bodio o di Cazzago Brabbia. E per chi cerca un contatto più intimo, basta sedersi lungo la riva e lasciarsi avvolgere dalla quiete delle acque, osservando gli aironi che spiccano il volo o le anatre che nuotano tra i canneti.

Il Lago di Varese è una storia di ieri e di oggi. Anticamente era conosciuto con i nomi delle sue varie rive, come lago di Gavirate o della Valbodia (attuale Valbossa). Solo successivamente, quando furono venduti i diritti di pesca di tutti i laghi varesini, venne chiamato Lago Grande, e infine Lago di Varese. Come il suo nome, è un luogo dove la natura, la storia e le tradizioni sono in evoluzione continua alla ricerca di un equilibrio. Oggi offre a chi lo visita un’esperienza autentica e ricca di significato. E per chi è disposto a fermarsi e ascoltare, il lago è un ottimo digital detox a due passi da casa.

“L’aspetto del borgo disposto tutt’intorno alla chiesa è singolare. Le montagne grandiose. Insieme magnifico: al calar del sole, noi vedemmo sette laghi. Credetemi, cari amici, ho potuto girare in lungo e in largo Francia e Germania senza ricavare simili sensazioni”, Stendhal, pseudonimo di Marie-Henri Beyle.

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Pubblicato il 19 Ottobre 2024
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