Maria Giuseppina Grasso Cannizzo fa il pienone all’incontro di ottobre di Visionare

Erano oltre 700 gli iscritti on line, oltre alle circa cinquanta persone in presenza, che hanno seguito l'appuntamento di ottobre di "Visionare – Dialoghi di Architettura", la rassegna curata dall’architetto Fulvio Irace e organizzata dall’Ordine degli Architetti di Varese

Erano oltre 700 gli iscritti on line, oltre alle circa cinquanta persone in presenza, che hanno seguito l’appuntamento di ottobre di “Visionare – Dialoghi di Architettura“, la rassegna curata dall’architetto Fulvio Irace e organizzata dall’Ordine degli Architetti di Varese,  che ha visto come protagonista Maria Giuseppina Grasso Cannizzo.

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A Visionare 2024 Giuseppina Grasso Cannizzo 4 di 13

La notissima architetta siciliana, in collegamento da remoto dal suo studio di Vittoria, ha raccontato, nella serata del 16 ottobre a Villa Panza,  molti dei suoi lavori “minimi” che l’hanno resa famosissima, pur occupandosi di “una manciata di case private, perlopiù realizzate intorno a lei, in Sicilia”.

«Maria Giuseppina è una figura unica, quasi controcorrente rispetto all’immagine classica dell’architetto che conosciamo. Vive in un luogo remoto della Sicilia, Vittoria, lontano dai grandi centri, eppure è diventata negli ultimi decenni un punto di riferimento nell’architettura – Ha spiegato Fulvio Irace – Ciò che la distingue è la sua capacità di lavorare su piccola scala con una precisione maniacale, dedicandosi alle piccole cose, quelle intime e domestiche. Non la troveremo a progettare grattacieli o palazzi di uffici, ma case e spazi privati. E non si tratta di abitazioni di lusso, non sono di quelle case che appaiono sulle sulle riviste di moda: sono abitazioni o studio o piccoli uffici molte volte il più spesso per persone che abitano nel territorio, oltre a qualche casa di vacanza di milanesi o torinesi».

Il suo approccio all’architettura è più un atto di cura che di grandiosità: «Nella sua architettura c’è una sorta di pietas, per così dire: di amore sconfinato dietro questa scorza anche ruvida, apparentemente sbrigativa, del suo carattere. In alcuni interventi che potremmo definire pomposamente di restauro, ma in realtà sono di ristrutturazione o di recupero a volte c’è addirittura il recupero del banale, il recupero di manufatti che erano stati abbandonati. Uno dei suoi Progetti più recenti, che due anni fa è stato premiato dalla Triennale, è il recupero ad uso abitativo di una scuola abbandonata degli anni sessanta. Un’idea quasi stravagante, ma che mostra il suo approccio e la sua poetica: cercare la bellezza anche in oggetti apparentemente trascurabili, che si estrinseca nella cura ossessiva dei dettagli, e nel rispetto dell’ambiente su cui sta lavorando. È un’architettura che parla al paesaggio, lo ascolta e lo interpreta con una delicatezza rara».

Per diventare famosa non ha avuto bisogno di realizzare molti progetti, o di avviarne di faraonici, perchè: «Nonostante abbia realizzato relativamente pochi progetti, il suo lavoro ha una profondità straordinaria – spiega Irace – Spesso, dietro le ristrutturazioni che fa c’è un’enorme quantità di pensiero e di fatica: sembra quasi che conti ogni vite, ogni passo per posizionare un elemento nel punto perfetto».

Il debutto di Visionare d’autunno ha avuto una architetta come protagonista, ma non sarà l’unica: «La mia intenzione è quella di invitare almeno un paio di architette e di mostrare la professione anche dal lato femminile – ha precisato Irace – Architette che si sentono magari molto coinvolte nei processi più umili della trasformazione quotidiana, come progetti per amministrazioni pubbliche “low budget” dove devi stare a controllare i capitolati al millimetro, perché non ci sono mai soldi abbastanza per fare le cose e che però poi alla fine riescono a farle bene. Vorrei affrontare l’architettura, dunque, come principio di cura».

 

 

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Pubblicato il 17 Ottobre 2024
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