“Smettete di schierarvi pro Palestina o pro Israele, siate per la pace”
Nell'anniversario della strage del 7 ottobre alle 21 al teatro di Varese la fortissima testimonianza dell'israeliana Robi Damelin e della palestinese Laila AlSheikh, madri che trasformano il dolore in un messaggio di pace
Nel primo anniversario della strage del 7 ottobre, a Varese risuonano le voci di due madri unite da un dolore incommensurabile, ma anche dalla stessa missione: trasformare il dolore in un impegno concreto per la pace.
E’ quello che i giovani studenti varesini dell’Istituto Einaudi hanno potuto ascoltare nella mattina di lunedì 7 ottobre, e tutti gli altri hannon potuto ascoltare nella stessa serata, alle 21, al Teatro di Varese, grazie al Centro Culturale Kolbe che ha portato la coraggiosa testimonianza di Robi Damelin e Laila AlSheikh, due mamme che hanno perso i loro figli nella infinita guerra in quelle zone e che ora lavorano insieme per la pace, attraverso l’associazione Parents Circle.
Laila è palestinese della Cisgiordania, ha perso il figlio quando aveva solo sei mesi, soffocato dai gas lacrimogeni durante un’incursione israeliana. Robi è israeliana, ha perso il figlio per mano di un cecchino palestinese. Entrambe chiedono lo stesso: non più divisioni, non più conflitti. «Smettete di schierarvi pro Palestina o pro Israele, siate per la pace. Se voi non avete una soluzione, siete un altro problema. E noi abbiamo già abbastanza problemi» ha risposto severamente Laila alla domanda “Che messaggio ci state portando?”.
«Se vi intromettete nelle divisioni, state creando ancora più divisione per noi» rincara Robi, con poche ma fortissime parole che risuonano come un richiamo a prendere consapevolezza delle complessità del conflitto mediorientale, contro la facilità di molti di atteggiarsi a esperto della questione mediorientale. «Nessuno sembra prendersi cura del Sudan, dell’Ucraina, dello Yemen e di altri conflitti, ma anche lì ci sono milioni di persone che soffrono».
Parlare delle loro esperienze personali fa emergere quanto sia distante la realtà vissuta in Occidente da quella quotidiana in Medio Oriente. «Voi non avete idea di cosa voglia dire vivere li, con continuamente questa sensazione di paura, di vendetta, di dolore – spiega Robi – Quando è stato ucciso mio figlio qualcuno si è preso cura di me, ma normalmente nessuno si prende cura di quello che stanno vivendo adesso a Gaza, o in Cisgiordania. Nessuno al di fuori riesce a capire veramente cosa vuol dire vivere appesi a un filo. Stamattina ho ricevuto un allarme che vicino a casa mia c’è stato un bombardamento. Laila dovrà partire in emergenza perchè dovrà essere il prima possibile ad Amman perchè le scade il visto e non sa, visto tutti i nuovi eventi, quando riuscirà a passare il confine per rientrare in Palestina. Questo è quello che succede ora».
Robi e Laila sono testimoni del Parents Circle: un’organizzazione unica nel suo genere, perchè costruisce ponti per lenire il dolore, e grazie a lui costruisce la pace.
«Parents circle è la sola organizzazione al mondo che non vuole altri associati: perchè se ne fai parte vuol dire che hai perso qualche parente stretto, e loro non desiderano questo per nessuno – Spiega infatti Laila – Siamo più di 700 famiglie. L’associazione è stata fondata nel 1995, da un uomo israeliano il cui figlio è stato catturato e poi ucciso da Hamas. Il suo nome è Isaac Frankenthal. Lui ha cominciato prima a raccogliere le famiglie israeliane; poi però ha pensato di aprirsi anche ai palestinesi, innanzitutto quelli provenienti da Gaza. E da quando purtroppo Hamas ha preso il potere a Gaza ed è diventato difficile avere connessione con loro, l’associazione ha cominciato ad avere relazioni anche con i palestinesi della Cisgiordania».
Per questo Laila prosegue: «Io sono diventata membro Palestinese nel 2016, perchè mio figlio è morto nell’aprile 2002 a solo sei mesi: una notte dei soldati israeliani sono entrati nel villaggio, hanno buttato del gas lacrimogeno, e mio figlio ha iniziato ad avere una crisi respiratoria. I soldati però gli hanno impedito di raggiungere l’ospedale per 4 ore, così quando siamo arrivati in ospedale era troppo tardi, e alla fine della giornata è morto – racconta – Ho cominciato a diventare membro di Parents Circle per evitare che altri dovessero subire lo stesso dolore, perchè la cosa peggiore che può succedere è perdere un membro della tua famiglia».
«Quando sono arrivati i soldati a dirmi che mio figlio David era stato ucciso da un cecchino palestinese la prima cosa che ho pensato è stato che nessuno avrebbe mai dovuto uccidere nel nome di mio figlio – ha aggiunto Robi – Al contrario, ho iniziato a guardarmi intorno per vedere se potevo impedire ad altre madri israeliane o palestinesi di provare la stessa cosa. Quando poi ho avuto l’occasione di incontrare le madri, in particolare quelle palestinesi all’interno del parents circle, ho capito che stavamo provando lo stesso dolore, e che il colore delle nostre lacrime era lo stesso. Per questo noi possiamo stare sullo stesso palco, chiedendo di fermare l’occupazione e fermare la violenza, ed essere un esempio per gli altri».
Un esempio potentissimo, più di mille discorsi.
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La Palestina non esiste. Fintanto che erano sassi e deserto, nessuno la reclamava. Ora che sono coltivazioni, la vogliono. Avessero speso tutti i soldi che gli sono stati inviati per rendere fertile il deserto come hanno fatto gli israeliani, ora sarebbero messi molto meglio. Invece li hanno usati per costruire tunnel e dotarsi di armi. Lo hanno fatto per la pace?