Tre Valli, il rispetto dovuto ai corridori e quello che i corridori non hanno avuto
L'attenzione alla sicurezza degli atleti è sacrosanta ed è stata garantita, ma anche chi corre (e chi dirige i team) ha il dovere di onorare gli sforzi di organizzatori e pubblico. Magari evitando di prendere decisioni precipitose che sembrano, addirittura, premeditate
In 103 anni di storia, la Tre Valli Varesine non si era mai fermata, guerra mondiale esclusa. Né col caldo – si è gareggiato spesso intorno a Ferragosto, né col vento e neppure con il nubifragio. Attenzione: non parliamo del ciclismo dei tempi eroici rispetto a cui non si possono fare confronti, parliamo dell’edizione 2007 quando arrivarono al traguardo in 13, con volata a due tra Christian Murro e Alessandro Bertolini che in via Sacco sollevarono un metro d’acqua ai lati della bicicletta.
Oggi no: oggi il gruppo si è fermato ben presto e paradossalmente lo ha fatto dopo che su Varese era appena terminato un vero e proprio diluvio, quello che ha causato la fuoriuscita copiosa di acqua dai tombini nei pressi della Schiranna e riempito d’acqua l’intera sede stradale. Comprensibile avere paura, in quel momento nel momento del fortunale, doveroso garantire la sicurezza dei corridori e di tutto il seguito: per queste ragioni la logica avrebbe consigliato di neutralizzare la gara per un giro e valutare poi il da farsi. Lo ha detto anche Stefano Zanini, d.s. dell’Astana: «Poco prima le condizioni erano pessime, ci siamo fermati quando le cose stavano migliorando».
Invece no: piede a terra sotto al traguardo e tutti a casa “perché i corridori hanno chiesto di fermarsi”. Chi, quanti, di che squadre non è dato sapere anche se poi è stato Tadej Pogacar a presentarsi in sala stampa e spiegare le ragioni del gruppo (è prassi che gli uomini più importanti si prendano queste responsabilità ndr). Gruppo che però forse non era così convinto e bastava fare un giro tra i pullman per capire che molti si sono adeguati: qualcuno si era appena cambiato la maglia dopo il nubifragio ed aveva ripreso a pedalare, qualcun’altro era in coda e non ha avvertito il senso di pericolo che hanno (anche in modo legittimo) avuto gli uomini in testa al plotone.
E poi c’erano le sei formazioni con un uomo in fuga: tra questi c’erano almeno due capitani o presunti tali come lo spagnolo Enric Mas della Movistar e il francese Romain Bardet della DSM che stavano interpretando la Tre Valli all’attacco e che stavano pedalando quando i colleghi si sono fermati. Sicuri che sarebbero stati d’accordo sullo stop? Qualcuno glielo ha chiesto?
Il tutto messo a confronto con quanto avvenuto al mattino, quando le atlete della gara femminile hanno ricevuto un accorciamento del chilometraggio e in cambio hanno dato sudore, fatica, tattica e volontà per portare a termine la Tre Valli nonostante le pessime condizioni atmosferiche. Dimostrando che si può dare spettacolo anche sotto la pioggia, magari frenando un metro prima o prendendo le curve con maggiore cautela.
L’impressione – rinforzata dalle parole di uno che conosce bene il gruppo, Stefano Garzelli – è che le cattive previsioni del tempo abbiano in qualche modo fatto premeditare al gruppo il ritiro collettivo. «Non è neanche iniziata» sferza il Garzo, due volte vincitore e oggi commentatore Rai senza troppi peli sulla lingua (ma non è uno dalla polemica gratuita), e viene quasi da pensare che la condotta tattica di Mas e Bardet sia stata una presa di posizione verso chi storceva il naso già a Busto Arsizio. Anche perché la “soluzione” proposta poi da Pogacar fa letteralmente acqua da tutte le parti (accorciare la femminile e far partire prima la maschile avrebbe ugualmente portato la gara in bocca al maltempo)
A rimetterci, in questa situazione, sono tutti quelli che hanno speso il proprio tempo per la Tre Valli. Per gli organizzatori, innanzitutto, e per tutta quella enorme macchina che si muove al loro fianco (sponsor, istituzioni, volontari…), ma anche per chi si è preso una giornata di ferie per assistere alla corsa (il pullman della UAE con Pogacar è stato circondato da un muro di tifosi desiderosi di vedere da vicino il numero uno del ciclismo mondiale), per gli addetti ai lavori e per la città che ha assorbito la portata di questa manifestazione chiudendo strade e scuole per permettere la disputa della Tre Valli.
Ecco: se da un lato il rispetto dovuto ai corridori e l’attenzione massima alla sicurezza sono cose sacrosante (lo ha ribadito anche il patron Renzo Oldani), dall’altro anche i corridori (chi li dirige, chi li paga) dovrebbero aver rispetto di chi fa di tutto per metterli in condizione di lavorare. E invece, in Italia, negli ultimi anni la soluzione del piede a terra è stata usata troppo spesso, ennesimo esempio di come il ciclismo tricolore stia attraversando il periodo più buio della propria storia, in diversi ambiti.
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Verissimo, gia’ alle 14.30 non pioveva piu’, bastava posticipare di mezz’ora e diminuire i giri.
Bastava contare sino a tre ed ecco comparire subito la critica nei confronti delle figure Istituite a vigilare sulla sicurezza dei corridori in questo caso.
Poi cè chi addirittura vorrebbe usare i corridori come un video gioco; adesso vado in cucina bevo una Coca Cola poi rischiaccio il bottone e tutto riparte,
Ohhh sempre rispettando i corridori.E poi bastava fare le curve in un certo modo ,professionisti della salamella.Se in un luogo come Varese la corsa la si lasciava nel suo periodo storico……..
Ci sono i portavivande o rider che con ogni tipo di meteo e nelle ore notturne pedalano nelle nostre citta’ per portare pizze ecc. Guadagnano pochi euro per ogni corsa e in condizioni certamente difficili per la sicurezza. Qui c’erano le strade libere e controllate e anche chi gareggia in mountain bike corre rischi. Quindi quale e’ la differenza tra rider e professionisti ? Con tutto il rispetto e considerazione per uno sport dove conta ancora il singolo e la sua fatica