Triage
di Daniele Crotti
Nell’ospedale da campo appena fuori Mariupol, a ogni colpo di tosse del dottor Vladimir Ivanov, Anton Kovalchuk si passava sul viso la mano destra graffiata. Disteso su una branda, lo fissava per qualche istante, in uno stato d’assenza che solo i soldati sfiniti lasciano intendere. Aveva pena nel vedere il suo vecchio compagno di stanza all’università curare soldati feriti da tre giorni, senza pause e con una tosse insistente. Otto anni prima avevano vissuto nello stesso appartamento a Mosca, per qualche mese. Vladimir Ivanov veniva da Samara, nella Russia centro-orientale. Anton da Odessa, nell’Ucraina del sud. Uno studiava medicina, con una passione per le malattie dello stomaco. L’altro faceva ingegneria, ma con più interesse nel farsi distrarre dalla gentaglia nelle vicinanze dell’università. Pochi giorni prima che Vladimir andasse a vivere con lui, Anton era nervoso. Non ne poteva più di stare da solo. Voleva un compagno di stanza, soprattutto per giocare a scacchi. E lui e Vladimir cominciarono a farlo spesso. Quando vinceva una partita, Vladimir gli diceva sempre: – E Karpov batte ancora Kasparov! – Anton era ucraino, non era nato in Azerbaigian come Kasparov. Ma a Vladimir bastava per poterlo prendere in giro. Questo era il gioco. Per lui, solo i russi erano bravi con gli scacchi. E quando perdeva, dava la colpa alla stanchezza. Lui studiava medicina. Nessuno doveva dimenticarselo. Poi però, passato l’inverno, Anton aveva cominciato ad uscire da solo la sera. Girava con persone che gli avevano promesso molti soldi e che non avrebbe dovuto ascoltare. A un certo punto, lasciò l’università e Vladimir non lo vide più. Fino a quando, durante le visite del pomeriggio, se lo era ritrovato nell’ospedale da campo, con una ferita profonda al fianco. Nonostante la barba lunga, Vladimir aveva riconosciuto Anton al primo sguardo. La ferita non era mortale ma servivano antibiotici e un po’ di sangue. Vladimir lo disse all’infermiere. Antibiotici e sangue, così disse. Poi se ne era andato dagli altri soldati feriti, senza dire nulla ad Anton, che ora stava aspettando da tre giorni la visita di controllo. Gli antibiotici cominciavano a fare effetto. Il sangue era arrivato il giorno prima. Giunto il turno di Anton, Vladimir si avvicinò, reprimendo un colpo di tosse. Controllò la ferita, fece un cenno all’infermiere e proseguì. Anton avrebbe voluto che Vladimir gli ripetesse ancora per una volta la storia di Karpov. Che lui era russo e lo aveva curato perché era il più bravo di tutti. Dopo pochi passi, Anton lo sentì tossire e piano piano si addormentò.
Racconto di Daniele Crotti (www.ilcavedio.org). Finalista XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, sezione Racconti di guerra e di pace, dedicata a Maniglio Botti e sponsorizzata da Anmig Varese.
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