Beko e lo svuotamento industriale delle aree di collina
La crisi di Beko tocca il Varesotto, ma anche il Senese e l'area periferica sotto ai Monti Sibillini, nelle Marche. Si muove anche l'unione delle comunità montane, che denuncia il rischio di marginalizzazione delle aree interne
È una partita che tocca tre diverse aree d’Italia, quella per il futuro di Beko nella penisola: tre poli produttivi in aree che rischiano di perdere una presenza industriale importante, che fa da traino per territori che rischiano di divenire più periferici dal punto di vista industriale.
Situazioni diverse, è chiaro. Perché un conto è Cassinetta di Biandronno, a un’ora da Milano (940 lavoratori) e un conto sono Siena (299, produzione di congelatori) o ancora la più periferica Comunanza, la cittadina tra i Monti Sibillini dove 320 persone sono al lavoro sulle lavatrici. In tutto si parla di 1500 e passa dipendenti in tre aree fuori dalle grandi concentrazioni industriali della pianura (nella foto: presidio a Comunanza, da Centropagina).
L’ultimo appello arriva dalla Uncem, l’Unione delle Comunità Montane: «Con tutti i Sindaci – in particolare della Toscana e delle Marche -, Uncem è vicina ai lavoratori Beko Europe», dice una nota dell’associazione che rappresenta i territori periferici.
«Una situazione gravissima per l’area appenninica», secondo Uncem. Per la quale l’organizzazione dei Comuni montani italiani auspica un lavoro risolutivo da parte del Ministero guidato da Adolfo Urso. La mobilitazione dei lavoratori vede Uncem, con le Delegazioni delle Marche e della Toscana, e il vertice nazionale guidato da Marco Bussone, chiedere all’azienda di tornare sui suoi passi, come auspicato dai Sindaci e dal Ministro stesso. Uncem è convinta che l’azione del Ministero potrà convincere l’azienda turca, nata dal potente gruppo industriale Koç.
«Uncem è certa che con i Sindacati si dovranno trovare soluzioni per evitare ogni chiusura e ogni licenziamento».
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