Entro il 2025 Beko chiuderà gli stabilimenti di Comunanza e Siena. A Cassinetta taglierà i frigoriferi: 541 esuberi
Sono 1935 gli esuberi dichiarati dalla multinazionale turca nel "piano di trasformazione delle attività italiane". A Cassinetta è già iniziata la mobilitazione dei lavoratori sul secondo turno che proseguirà giovedì mattina prevista una mobilitazione
Alla fine è successo quello che i lavoratori temevano: Beko Europe chiuderà entro la fine del 2025 i siti Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, e Siena. Taglierà anche la linea del freddo – due linee su cinque – a Cassinetta di Biandronno in provincia di Varese, lasciando a casa 541 persone.
E ancora: 66 lavoratori a Melano, 40 a Carinaro e altri 198 nell’area di ricerca e sviluppo. In totale i lavoratori in esubero saranno 1935.
È l’esito delle trattative tra le parti sociali al Mimit dove si sono incontrati i vertici della multinazionale turca e i sindacati dei metalmeccanici, Fiom, Fim e Uilm.
Il sindacato di categoria ha già annunciato una mobilitazione che è già iniziata con il secondo turno di oggi, mercoledì 20 novembre, e continuerà per tutta la giornata di giovedì.
«Quasi la metà degli attuali dipendenti non lavoreranno più per Beko Europe – commenta a caldo Tiziano Franceschetti rsu della Fim Cisl dello stabilimento di Cassinetta di Biandronno -.E poi non tornano i conti: se sono 1200 gli esuberi tra gli impiegati in Italia e un terzo sono a Cassinetta vuol dire che sono 400 lavoratori a cui si aggiungono i 250 dello stabilimento frigoriferi. Una vera tragedia perché così lo stabilimento non sarà sostenibile».
GLI INVESTIMENTI
Durante le trattative c’è stata molta tensione. I sindacalisti dei metalmeccanici hanno bollato il piano presentato come «commerciale. Solo esuberi e pochi investimenti, quanto di più lontano ci possa essere da un piano industriale».
Duro anche il commento del sottosegretario Deborah Bergamini che ha definito la proposta di Beko «un piano non accettabile, con un impatto occupazionale eccessivo e investimenti inadeguati».
Complessivamente, gli investimenti in nuovi prodotti e nell’innovazione dei processi produttivi, attraverso robotica, automazione della logistica interna e digitalizzazione, ammontano a oltre 110 milioni di euro: 80 milioni in prodotti e 30 nei processi.
TUTTA COLPA DEI CINESI
L’azienda lo definisce «piano di trasformazione delle attività italiane» realizzato sulla base «delle criticità strutturali e macroeconomiche emerse dall’analisi condotta sull’attuale base produttiva e di business, nel contesto congiunturale nazionale ed europeo del settore». Un piano che secondo la multinazionale turca «permetterà una presenza stabile e di lungo periodo in Italia, grazie ad un assetto che riflette le mutate condizioni del mercato globale, il difficile scenario competitivo cui il settore è sottoposto in Europa, dovuto alla perdurante concorrenza dei produttori dell’Estremo Oriente (in particolare dalla Cina) ed il mutato livello di domanda che ha condotto nel corso degli ultimi anni ad un livello di capacità produttiva di alcuni stabilimenti significativamente al di sotto del necessario equilibrio economico-finanziario».
BEKO PUNTA SUL COOKING
L’Italia, secondo l’azienda, seppur con la metà dei dipendenti al lavoro, «ricoprirà un ruolo centrale nella strategia globale di Beko per la categoria cottura (Cooking). Rimarranno le attività globali di ricerca e sviluppo per il cooking, il centro globale di design industriale e saranno rafforzati gli investimenti per la produzione di piani cottura, forni e microonde da incasso».
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Che la Cina ci avrebbe distrutto era chiaro a tutti tranne a coloro che il business lo avevano già delocalizzato e che spendevano grandi discorsi da MBA per raccontarci di quanto fosse bella la globalizzazione.
Che gli stipendi bassi facciano propendere per gli acquisti Made in China a discapito della qualità e durabilità è di fatto una conseguenza più che una scelta di vita o scarsa attenzione del consumatore.
Che ci siano volontà programmate di non fare più produzione in Europa è oramai evidente…perchè chiamare “esuberi” 1.935 persone sug 4.400 dipendenti in Italia è quantomeno riduttivo. E’ come tagliare una torta con una mannaia.