Insulti omofobi al figlio minore: non erano maltrattamenti, sindaco condannato a Varese a otto mesi
Derubricato il reato in “abuso dei mezzi di correzione o disciplina”, con risarcimento di 6 mila euro. L’ex moglie (a processo come parte offesa) esce dal tribunale scortata dai carabinieri
Per il pubblico ministero quanto contestato – anni di angherie verso ex moglie e figlio – erano da punirsi con una condanna a 5 anni e 6 mesi, e per il reato di “maltrattamenti in famiglia“. Ma il collegio presieduto dal giudice Andrea Crema ha invece oggi assolto l’imputato – sindaco di un paese del Varesotto – dal reato di maltrattamenti verso l’ex moglie e il figlio considerandolo colpevole ma del solo reato nei riguardi del figlio, derubricato in “abuso dei mezzi di correzione o di disciplina”, e condannandolo ad una pena di 8 mesi, con risarcimento di 6 mila euro ed elargizione di altrettanti 7mila a titolo di spese processuali per la parte civile.
Era il caso, come si ricorderà, delle pesanti parole che secondo l’accusa vennero rivolte al figlio minore dall’imputato, parole come «checca», «frocio» o «finocchio», ad un bimbo di pochi anni. «Una decisione che fa cadere il quadro indiziario proposto dalla Procura a carico del mio assistito», ha commentato il difensore Marco Bianchi.
La corte ha previsto i doppi benefici di legge e la sospensione condizionale della pena, cosa ben diversa se fosse rimasta in piedi l’ipotesi dei maltrattamenti, che come reato «ostativo», in caso di mancata impugnazione in appello, avrebbe prodotto l’incarcerazione del condannato. Ma così non è andata, e l’imputato secondo la legge è da considerarsi innocente fino a prova contraria fino a quando il processo non avrà esaurito tutti i gradi di giudizio (durante il processo l’amministratore pubblico ha respinto le accuse, cosa che è stata sottolineata anche dalle figlie della coppia sentite come testimoni).
Infatti l’avvocato di parte civile Riccardo Rolando Riccardi ha fatto sapere che una volta valutate le motivazioni della sentenza «verrà sollecitata la Procura Generale a impugnare la decisione in appello. Trovo sia assurdo che la mia assistita (ex moglie dell’imputato ndr) sia dovuta rimanere nove mesi in comunità protetta e l‘imputato sia stato oggi condannato a soli otto mesi per giunta per un reato diverso da quello contestato, come se avesse tirato due scapaccioni al figlio».
Sempre il difensore di parte civile ha poi biasimato il comportamento dell’imputato una volta letta la sentenza: «Ha pronunciato parole pesanti rivolte alla ex moglie ancora in aula, alla presenza mia, del pubblico ministero e della stessa Corte. E una volta uscito dal tribunale ha atteso a lungo seduto su di una panchina della piazza, tanto da obbligare a chiamare il 112 per assicurare alla signora, parte offesa del processo, di lasciare palazzo di giustizia in tutta sicurezza. È stata poi scortata verso casa dai carabinieri».
(Il nominativo dell’amministratore pubblico che ricopre una carica elettiva – quella di sindaco – non viene volutamente citato, nonostante la condanna, esclusivamente per far prevalere la riservatezza imposta nei riguardi del minore, parte offesa del processo penale, come imposto dalle regole deontologiche della professione giornalistica nda)
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