Maltrattamenti a Gavirate sui bimbi dell’asilo: “La cuoca va assolta, non aveva l’obbligo di intervenire”
Dopo la condanna dell’educatrice, tocca ora arrivare al giudizio della seconda indagata finita di fronte al giudice. “Il reato può essere commesso solo da soggetti qualificati“
C’è il differente impatto dell’educazione sugli educandi a seconda delle epoche attraversate dalla società, dall’Antica Grecia ai giorni nostri, passando per gli scapaccioni dell’epoca pre boomer alla sacrosanta intangibilità dei minori del periodo attuale.
Ed esiste anche il cogente impalcato difensivo in punta di diritto che escluderebbe comportamenti penali – perché omissivi – da parte dell’imputata, una cuoca della struttura “Imparare è un gioco”, nido privato di Gavirate chiuso nel 2018 a seguito delle indagini dei carabinieri che hanno raccolto lamentele e segnalazioni dei genitori finite poi in processi penali.
Se la responsabile della struttura ha già pagato un prezzo alto in termini di condanna (siamo all’appello, quindi non ancora passata in giudicato e da ritenere innocente fino a prova contraria), c’è lo scoglio del primo grado che ancora deve superare l’altra imputata, cioè la sua assistente che aveva compiti di refezione, anche lei finita nelle immagini che fecero il giro delle cronache d’Italia, con quel bimbo preso a ciabattate in faccia, gli strattonamenti, e altro. La richiesta del pubblico ministero, già depositata da mesi, è per una pena di tre anni.
Il giudice monocratico dovrà invece valutare quella del difensore della donna, l’avvocato Corrado Viazzo, che ha chiesto un’assoluzione come si accennava in una discussione partita dalla paideia, la pedagogia dall’epoca greca toccando Socrate, e Platone cercando di delineare modelli educativi fino ad arrivare al post Montessori: «Io qualche sberlone ai miei tempi l’ho preso, pensiamo ad un professore che ci tirava le noci addosso e rispetto ad una stessa norma comportamentale vi sia stata un’interpretazione del tutto differente, cioè l’educazione va intesa con un significato diverso a seconda di ogni epoca e quindi è difficile delineare una modalità comune», ha spiegato il legale, specificando poi il ragionamento tecnico, che si è addentrato più a fondo nel campo giuridico.
«L’imputata era una cuoca, non un’educatrice. Quindi contesto in diritto tutta l’impostazione del capo di imputazione che tratta di un concorso in maltrattamento: si tratta di un reato proprio è un reato che può essere commesso solo da soggetti qualificati, e lei non lo era e non aveva neppure alcun dovere di intervenire perché non ricopriva posizioni di garanzia. Non mi pare che quel comportamento contestato (peraltro 20 su 400 episodi critici) sia tale da configurare un concorso in maltrattamenti. Per questo ho chiesto l’assoluzione».
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