Marta Criscuolo e il genero in collegamento dal carcere: “Guardandolo non ho provato nulla”
L’avvocato della famiglia: “I testimoni hanno abbondantemente dimostrato il clima di terrore. Le vittime si aspettavano quel che poi è successo”
È chiaro e pacifico che il processo in corso in questi giorni a Varese sia per atti persecutori e che veda come parti offese Lavinia Limido e i suoi familiari. Tuttavia, è altrettanto evidente che il “convitato di pietra” del processo è ciò che è accaduto il 6 maggio a Varese, con l’omicidio di Fabio Limido e il tentato omicidio premeditato di Lavinia.
La prova di questo è che i racconti dei testimoni in aula conducono inevitabilmente a quel fatto, ne fanno riferimento, e non potrebbe essere altrimenti: il processo penale non è un insieme di file su un computer o numeri di codici binari, ma riguarda persone reali. È fatto di sguardi, carne e ossa, e coinvolge testimoni che, nel raccontare, talvolta vanno oltre la precisione delle domande per arrivare dove li porta il pensiero.
Difatti Marco Manfrinati, l’uomo in collegamento dal carcere di Busto Arsizio, che a tratti ha persino sorriso durante la videoconferenza e che ha più volte salutato educatamente la corte (senza che nessuno in aula ricambiasse), non è accusato solo di stalking – reato già di per sé odioso – ma di fatti di ben maggiore gravità per i quali le indagini non sono ancora chiuse.
L’imputato ha mostrato grande lucidità: si è rivolto alla corte con fermezza, anticipando l’esito del colloquio riservato con il suo legale. Ha dichiarato che prima saranno ascoltati i testimoni della pubblica accusa e solo successivamente renderà il proprio esame. Una decisione presa con il codice di procedura penale alla mano, dimostrando una piena padronanza delle norme.
Distacco e freddezza, che hanno caratterizzato quei pochi minuti di collegamento dalla casa circondariale di Busto Arsizio. Subito dopo, l’imputato ha scelto di rinunciare ad assistere all’udienza, interrompendo il collegamento.
L’avvocato della famiglia, Fabio Ambrosetti (nella foto, a sinistra. A destra Marta Criscuolo), sul procedimento in atto, è stato lapidario, sostenendo tra le righe la piena formazione della prova a carico dell’imputato: “I testimoni hanno abbondantemente dimostrato il clima di terrore. Le vittime si aspettavano quel che poi è successo”.
Ma cosa ha provato Marta Criscuolo, vedova dell’uomo assassinato a coltellate ai primi di maggio, nel ritrovarsi di fatto faccia a faccia, per la prima volta dopo i fatti, con il genero accusato? «Guardandolo non ho provato nulla, perché per me è il nulla», ha dichiarato la donna ai cronisti al termine dell’udienza.
A telecamere spente, la donna – anche lei avvocato – ha poi confessato di prepararsi alla vera prova: «Che sarà il processo», ha detto, riferendosi alla futura udienza in corte d’Assise per omicidio e tentato omicidio aggravati.
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