Il giovane che si salva dall’auto in fiamme a Varese in via Tasso: “Non era ubriaco, aveva inspirato benzina”
In aula la difesa del ragazzo che con le sue gambe riuscì a uscire dalla sua auto che poi prese fuoco. Ora gli viene contestata la guida in stato di ebbrezza. La tesi dei difensori: "il macchinario per rilevare i livelli di alcool non funzionava bene"
Può un uomo ubriaco oltre tre volte il limite consentito uscire dal finestrino della sua auto, così da salvarsi da morte certa? Domanda sollevata durante il processo per l’incidente stradale avvenuto nel luglio del 2021 in via Tasso a Varese: l’auto che scendeva verso Capolago-Cartabbia nel cuore della notte, fondo stradale umido, conducente abbagliato che trova nel fuoripista erboso altrettanto fradicio il trampolino di lancio per la sua vettura che dopo aver impattato comincia a fumare. Lui, nell’auto, fra i fumi della benzina, è incosciente: si desta un attimo prima che il veicolo prenda fuoco e trova la salvezza nel prato uscendo da un finestrino rotto (lato passeggero) dal momento che la sua portiera rimane bloccata. Residenti spaventati, svegliati per il botto e poi in seconda battuta, a bocce ferme, preoccupati come è ovvio per l’alta velocità dei veicoli che percorrono lo stradone fuori casa.
Qui si ferma la cronaca “nera” e parte la “giudiziaria”: sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, un’ambulanza e la polizia municipale. L’incidente avrebbe potuto chiudersi lì, ma il successivo alcol test ha aperto una questione legale complessa.
Il test alcolico e le anomalie
Inizialmente, il dispositivo etilometrico sembrava non funzionare correttamente, ma successivamente ha riportato un tasso alcolico di 1,65 g/l per due volte, ben oltre il limite consentito (oltre il triplo dal momento che la soglia di legge è 0,5 g/l). L’uomo è stato accusato di guida in stato di ebbrezza aggravata (dal fatto che la sua condotta legata al sospetto abuso di alcool avrebbe causato un sinistro stradale). Tuttavia, la difesa ha sollevato dubbi sull’affidabilità del macchinario utilizzato, il “Drugher 71A10“, sostenendo che non sia omologato e che presenti ampi margini di errore.
Un perito della difesa ha inoltre evidenziato che l’inalazione di vapori di idrocarburi – plausibile dato lo sversamento di benzina dall’auto – potrebbe aver alterato i risultati dell’alcol test. La tesi è supportata dal fatto che il corpo metabolizza rapidamente tali vapori, influenzando i dati etilometrici.
L’incompatibilità tra i fatti e la dinamica
Il medico legale incaricato dalla difesa ha messo in discussione la ricostruzione dell’accaduto, sostenendo che il fisico dell’imputato, giovane e magro, non gli avrebbe permesso di liberarsi così prontamente dall’auto passando dal finestrino. Questo dettaglio contrasterebbe con il presunto stato di ebbrezza, che avrebbe rallentato i riflessi.
Le posizioni in aula
Durante l’udienza di venerdì, il pubblico ministero ha richiesto una pena di otto mesi di reclusione e la revoca della patente. La difesa, patrocinata dagli avvocati Gianluca Franchi e Giuseppa Calma, ha invece puntato su due argomenti principali: da un lato, l’incertezza del dato fornito dall’etilometro, e dall’altro l’assenza di omologazione certificata per il macchinario, citando sentenze precedenti del tribunale di Bologna (2020 e 2022) che hanno portato all’assoluzione in casi analoghi.
Il giudice Rossana Basile, dopo essersi ritirato per deliberare, ha disposto l’acquisizione del libretto tecnico del macchinario e ha rinviato la decisione al 29 gennaio.
Nel frattempo, il trentenne, scosso dall’incidente e dall’intera vicenda, attende un verdetto.
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