L’elettrodomestico non scompare ma si evolve. Servono capitali pazienti e manager all’altezza

Luciano Pero, docente della School of management del Politecnico di Milano, analizza le sfide e il futuro dell’elettrodomestico in Europa, tra investimenti in sostenibilità e capitalI pazienti

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Quando si parla di innovazione organizzativa e tecnologica dell’impresa, viene quasi spontaneo pronunciare il nome di Luciano Pero, docente alla School of Management del Politecnico di Milano. È tra i più grandi esperti in Italia in fatto di organizzazione e industria 4.0, tema che affronta con la profondità del filosofo, forma mentis acquisita grazie a  una laurea in logica, e il rigore dello scienziato, sostenuto da una laurea in matematica.
Per parlare del caso Beko Europe, secondo Pero, bisogna partire da una prospettiva diversa da quella della crisi di settore, attingendo ad alcuni casi che hanno contraddistinto il recente passato dell’elettrodomestico industriale nel Vecchio continente.
«Se osserviamo cosa è successo ad Electrolux, vediamo che sono stati fatti degli investimenti con una visione orientata al futuro dei nuovi prodotti. Ricordo una linea di frigoriferi piuttosto avanzata e con molta automazione di linea. Una sorta di robotizzazione quasi generale, soprattutto della scatola. Una fabbrica sostenibile».

Parliamo della sostenibilità di un impianto produttivo. Ma quando si parla di elettrodomestico qui in Europa si parla di un mercato maturo e in crisi che subisce una concorrenza feroce dai produttori asiatici.
«Ragionare sui prodotti significa fare una riflessione approfondita sulle tendenze già in atto. Allora, l’auto diventa elettrica e probabilmente ci sarà l’auto collettiva, perché in giro ci sono troppe automobili e bisogna farne girare di meno. Le auto però continueranno ad esserci.
Non scompaiono dalla sera alla mattina. Poi ci sono i prodotti legati all’energia pulita. Quindi si va dal solare fino al nucleare sicuro, che è tornato in auge. E poi c’è tutta l’elettronica. L’elettrodomestico sarà pure un prodotto maturo in un mercato altrettanto maturo, ma continua a esistere. La gente continuerà a lavare con la lavatrice e continuerà a usare il frigorifero che non scomparirà all’improvviso. Quindi la prima conclusione è che l’elettrodomestico è un prodotto che si evolverà e non scomparirà dalla faccia della terra».

C’è un tema legato anche alle infrastrutture.
«Certo i nuovi prodotti hanno bisogno dell’infrastruttura tecnologica e delle reti di sostegno. Quindi investire sull’elettrodomestico in prospettiva non è sbagliato. La vera sfida è inventarlo ex novo pensando a utilizzi e tecnologie diverse da quelle utilizzate fino a oggi. Alcuni prodotti scompaiono perché c’è una nuova tecnologia, altri ancora perché sono scadenti. Ci sarà anche una fase di declino industriale nel Varesotto, ma chiudere le fabbriche di elettrodomestici è frutto di una visione sbagliata».

Nel frattempo Beko Europe ha annunciato che chiuderà tre siti in Italia tra cui quello di Cassinetta di Biandronno.
«Per un certo periodo girava la voce che anche Electrolux avrebbe venduto ai turchi. Poi la direzione strategica decise di puntare su nuovi investimenti in automazione a Susegana, Solaro e Porcia per la produzione di elettrodomestici di fascia medio-alta. Se pensiamo ai frigoriferi, per esempio, si possono produrre compressori migliori e sistemi di maggiore durata. E non mi sembra che i turchi vadano in questa direzione».

Per rilanciare l’elettrodomestico in Europa ci vuole tempo. In queste situazioni quanto conta la presenza di capitali pazienti?
«È un tema importante, come importante è avere un management che sappia gestire i momenti di crisi, le fasi di transizione che spesso nascono dalle fusioni tra grandi gruppi. In genere le grandi finanziarie mettono lì qualche super manager con poca pazienza. Il problema è che i capitali impazienti non sanno costruire gruppi dirigenti coesi in grado poi di gestire le grandi operazioni».

Mi fa un esempio di un’azienda che ha puntato sul capitale paziente?
«Luxottica di Leonardo Del Vecchio per 30 anni ha reinvestito tutti i soldi guadagnati, mettendo al centro la persona e con il tempo ha costruito un team manageriale straordinario che è in grado di gestire operazioni importanti di qualsiasi tipo. Adesso sono gli italiani che vanno a insegnare ai francesi come si fa la produzione delle lenti. Per rilanciare l’elettrodomestico o per ripensare tutta la mobilità bisogna investire sulle persone e non solo sulle macchine. L’Italia, è un dato di fatto, ha una cultura “macchinista”. A investire in macchinari sono tutti d’accordo, un po’ meno a investire sulle persone. Giro e vedo fabbriche piene di macchinari fermi. E quando chiedo dove sono le persone, mi sento rispondere: “Non ci sono”».

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Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 02 Dicembre 2024
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