Non è mai troppo tardi

A Bob Barlow il padre ripeteva sempre "Never give up". E lui non solo ha esordito in NHL a 34 anni nel 1969: ha anche stabilito un record tuttora in vigore

alla balaustra non è mai troppo tardi

(d. f.) Quarto episodio della seconda stagione della rubrica di Marco Giannatiempo, curata dalla redazione sportiva di V2 Media/ VareseNews e dedicata alla cultura dell’hockey su ghiaccio. Oggi narriamo un’altra storia incredibile, quella di Bob Barlow, esordiente in NHL a 34 anni e detentore – 55 anni dopo – del gol più rapido messo a segno da un rookie. “Alla balaustra” ha cadenza quindicinale e viene pubblicata il primo e terzo (ed eventualmente quinto) lunedì pomeriggio di ogni mese. Gli otto racconti della prima stagione e i primi tre della seconda sono disponibili in calce all’articolo.

L’entry draft della NHL è la formula tramite la quale i giocatori della lega professionistica nordamericana, la più famosa al mondo nell’hockey su ghiaccio, seleziona i propri giocatori. Ogni anno sono 224 in totale i giovani talenti che ne fanno parte, divisi in sette turni di scelta: a ogni turno ne vengono selezionati 32, uno per ogni squadra della lega per ogni singolo turno. La regola prevede che i primi a poter scegliere le promesse dell’hockey su ghiaccio siano le squadre escluse dai playoff, poi il resto delle squadre eliminate nei primi turni della fase finale, mentre gli ultimi sono le squadre finaliste della Stanley Cup.

Tutto questo per dare la possibilità alle formazioni meno forti di scegliere i potenziali migliori giocatori per i propri roster. Un atleta draftato, quindi scelto da una delle compagini, può comunque decidere se accettare l’ingaggio o mettersi sul mercato. Anche il nostro protagonista, Robert George Barlow, venne selezionato anche se con una formula diversa da quella attuale, visto siamo nel 1969.

Bob viene scelto dai Minnesota North Stars, e non è una cosa normale visto che – sì – lui è una promessa dell’hockey, ma non così giovane perché ha già 34 anni e il termine rookie (esordiente) suona quasi ironico. Lui di hockey ne ha già giocato molto, ma tutto nelle leghe minori e così diventa il giocatore più anziano a essere selezionato da una squadra NHL sino ad allora.

Del resto suo padre Hugh, che con i Montreal Royals ha vinto una Allan Cup nel 1947, glielo dice sempre: «Never give up Bob, never give up!». Lo ripeteva per lo studio, per i lavori che faceva dopo la scuola e naturalmente per lo sport, l’hockey in questo caso, che era stata la sua grande passione tramandata al figlio. Sarà stato per quella frase tatuata nel cervello, ma Bob in effetti di passione ce ne mette sempre tanta. Certo gli anni passano e superata la fatidica cifra dei trenta Barlow si rende conto che il sogno di giocare in NHL si allontana.

Ma una mattina tra la bottiglia di latte poggiato davanti alla soglia della sua porta e la copia fresca di stampa del “The Hamilton Spectator” c’è una busta bianca: la raccoglie e nota la “N” verde con una stella dorata, il logo di Minnesota. Oggi si chiamano Wild con il logo che raffigura un paesaggio forestale e il profilo di un animale selvatico non meglio identificato, ma prima erano i North Stars. Bob gira due volte la lettera tra le dita: è indirizzata alla sua attenzione e intuisce che si tratta di qualcosa di notevole. Va dal padre e anche lui intuisce che in quella lettera c’è scritto qualcosa di estremamente importante. «Leggila tu» dice Bob porgendogli il plico. Il padre apre con cura la lettera – lui è un duro e certo non si farà sopraffare dall’emozione – finisce di leggere e mentre si morde il labbro chiude la lettera e si rivolge al figlio ripetendo «never give up Bob». Fa una piccola pausa e gli domanda quale numero sceglierà quando scenderà sul ghiaccio con i Minnesota North Stars in NHL. A Bob che è più tenero qualche lacrima scende, si asciuga con il palmo della mano e risponde «il 14».

Il ghiaccio da giocatore di NHL lo calca per la prima volta l’11 ottobre del 1969 al Metropolitan Sports Center di Bloomington, Minnesota, dopo appena sei allenamenti con la sua nuova squadra. Gioca in terza linea come ala destra, gli avversari di quella sera sono i Philadelphia Flyers. La partita si scalda subito visto che c’è un conto in sospeso tra Claude Larose dei North Stars e Larry Hillman di Philadelphia e dopo soli 24″ vengono alle mani: scazzottata veloce, conto regolato e penalità per entrambi.

La partita riprende e pure ad alti livelli ma dopo qualche minuto Garry Peters dei Flyers colpisce con il bastone un avversario e si prende due minuti di penalità. La power play unit (lo schieramento specializzato nel gioco con l’uomo in più ndr) entra in pista, ma l’ala destra non è al meglio: Wren Blair, coach di Minnesota, tuona allora il nome di Barlow che mette i suoi pattini sul ghiaccio per la prima volta in una partita ufficiale di NHL. «Never give up» pensa.

Il portiere dei Flyers è Bernard Marcel “Bernie” Parent, ha una percentuale di salvataggi pari a .921 (para il 92,1% dei tiri verso la sua porta ndr), numero che significa che il suo mestiere lo sa fare, e pure bene. Ma siamo in America, e soprattutto siamo tra gli anni Sessanta e Settanta, quando nel Paese a stelle e strisce i sogni spesso si avverano. Bob prende posizione nel terzo difensivo degli ospiti dove si gioca l’ingaggio; a contendere il disco va Thomas “Tommy, The Bomber” Williams, dove per bomber non si intende il fiuto del gol: è il soprannome che gli affibbiano l’anno prima quando, tra gli USA e il Canada, alla dogana di Toronto, dichiara in maniera serafica di avere una bomba nella borsa. La polizia lo ferma, accerta che non è vero e lo ingabbia per 24 ore mentre la squadra lo multa e lo punisce con una giornata di stop senza stipendio.

Williams comunque l’ingaggio lo vince e gira per Bob, che scambia con il terzino Lou Nanne che rende il favore: d’istinto Barlow spara con tutta la forza che ha nelle sue braccia verso la porta mettendo il disco in rete. Sono passati solo 8″ per quello che ad oggi rimane il gol più veloce segnato da un rookie nella storia della NHL. «Never give up» pensa mentre i compagni lo abbracciano e l’arena esplode. Prima di tornare in panchina chiede all’arbitro di poter tenere il disco – permesso accordato – quindi si dirige verso la l’allenatore dicendogli «Non è molto difficile giocare in questa lega, certo potevate chiamarmi qualche anno prima!».

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Pubblicato il 02 Dicembre 2024
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