Ridimensionamento dello stabilimento Beko di Cassinetta, ecco le implicazioni per l’economia locale
L'analisi dello Starting Finance club dell’Università Liuc di Castellanza sulla ristrutturazione di Beko Europe
Questo articolo è stato curato a cura di Mattia Garrasi (@garrasinho) dello Starting Finance club dell’Università Liuc di Castellanza
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Introduzione
L’incontro del 20 novembre tra Beko Europe (ex Whirlpool), sindacati e il ministro dell’Industria ha confermato i pesanti tagli annunciati dalla multinazionale turca, che prevede il ridimensionamento di numerosi stabilimenti produttivi in tutto il paese, con 1935 esuberi su 4440 occupati, la chiusura delle fabbriche di Comunanza e Siena, e il ridimensionamento dello stabilimento di Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese. Qui, due delle cinque linee produttive di frigoriferi saranno chiuse, con 541 esuberi previsti. A rischio anche 200-250 impiegati e dirigenti del sito, portando il totale dei lavoratori coinvolti a circa 800. La crisi del mercato degli elettrodomestici e le perdite cumulate, nonostante investimenti passati, sono le motivazioni dichiarate ma la macro-liquidazione rappresenta un duro colpo per l’economia locale e ha sollevato forte preoccupazione tra sindacati e istituzioni.
Esuberi, liquidazioni e licenziamenti
L’esubero è una situazione molto frequente per le aziende in crisi, in cui gli stabilimenti si ritrovano con un numero di dipendenti superiore a quello necessario per le proprie esigenze operative, e perciò decidono di attuare un piano di liquidazione e licenziamenti. L’azienda chiude alcune attività, vende beni e asset, e licenzia parte del personale, per ridurre i costi e riuscire a pagare i propri debitori. Nel caso di Beko Europe (multinazionale turca operante nel settore degli elettrodomestici, parte del gruppo Arçelik e tra i maggiori produttori a livello mondiale), la chiusura delle linee produttive, e i seguenti licenziamenti, sono l’unico modo per mantenere aperto lo stabilimento, ma questo pone comunque molti dubbi sulla sostenibilità operativa dell’impianto negli anni successivi.
I primi dubbi che sorgono sono quelli legati alla perdita di competenze chiave dovute al taglio del personale, soprattutto tra operai esperti e tecnici qualificati, che potrebbero compromettere la qualità e l’efficienza dell’impianto produttivo. Con solo tre linee produttive su cinque è in dubbio anche la competitività e sostenibilità economica a lungo periodo dello stabilimento. Inoltre, la difficoltà a riorganizzare la struttura operativa potrebbe creare inefficienze anche nel breve termine, rallentando la capacità produttiva e mitigando la rapida risposta alle esigenze di mercato, che aziende di questo genere devono sempre avere. Infine, il calo del morale interno può giocare un ruolo cruciale per le sorti dell’azienda, caricando i lavoratori rimanenti di maggiori responsabilità e preoccupazioni per il futuro.
Non bisogna sottovalutare anche le conseguenze per il territorio. In una città di modeste dimensioni come Varese, il licenziamento di circa 500 lavoratori può impattare notevolmente l’economia locale, facendo crescere la disoccupazione e riducendo il potere di acquisto di numerose famiglie, senza trascurare l’impatto sul benessere sociale e la depressione economica locale che si riverserebbe sull’indotto produttivo e sulla catena del valore legati allo stabilimento come fornitori, trasporti e manutenzione, portando a possibili ulteriori danni economici, chiusure e perdite di posti lavoro negli anni successivi.
In una situazione similare è stata la città di Taranto e l’Ilva, grande società siderurgica italiana, che nel 2012, a seguito della crisi economica e dei problemi legati alla gestione dell’impianto e all’inquinamento, ha dovuto anch’essa avviare un piano di ristrutturazione, con conseguenza principale il licenziamento di migliaia di lavoratori, sia tra operai che dirigenti. Le ripercussioni sul territorio furono devastanti, tra le quali disoccupazione elevata, declino economico di tutte le piccole e medie imprese del territorio, problemi sociali, deterioramento della qualità della vita, e infine l’alimento della sfiducia tra lavoratori e istituzioni locali. In questo caso, il piano di licenziamenti aveva avuto effetti negativi anche per l’accentuata dipendenza della città ad un’unica azienda e l’incapacità di diversificazione delle fonti di occupazione.
Conclusione
Il piano di licenziamenti e il ridimensionamento dello stabilimento Beko a Cassinetta di Biandronno rappresentano un duro colpo per i lavoratori e l’economia locale, ma potrebbero essere necessari per garantire la sopravvivenza a lungo termine dell’azienda, nonostante il possibile deterioramento delle condizioni lavorative di molti lavoratori. Malgrado gli effetti negativi immediati, questa situazione potrebbe portare a Varese nuove prospettive e sfide, stimolando il rilancio dell’economia locale e la capacità di adattamento di una città da sempre caratterizzata da una forte vocazione lavorativa e imprenditoriale.
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