Davide Serino: un varesino dietro ‘M. Il Figlio del Secolo’ il racconto di Mussolini tra empatia e orrore

Dialogo con lo sceneggiatore varesino a pochi giorni dal debutto della serie evento Sky "M. Il figlio del secolo"

Davide Serino  e M. Il figlio del secolo

Davide Serino, sceneggiatore varesino con una lunga esperienza nel mondo del cinema e delle serie televisive è una delle firme dietro M. Il Figlio del Secolo, la serie evento dedicata alla complessa figura di Benito Mussolini, che debutterà il 10 gennaio su Sky.

Nato e cresciuto a Varese, Serino – insieme a Stefano Bises, che ha firmato con lui la sceneggiatura – ha scritto l’acclamata serie Bad Guy su Prime Video, Qui non è Hollywood per Disney, l’ultimo film di Mainetti in uscita quest’anno ed è stato candidato al David di Donatello per la sceneggiatura di Esterno Notte, la prima serie di Marco Bellocchio. E ora, ha affrontato un progetto ambizioso e delicato: raccontare la genesi di una delle pagine più controverse della storia italiana con un linguaggio moderno, capace di affascinare e far riflettere, e partendo da un libro tanto popolare quanto controverso: “Il figlio del secolo” di Antonio Scurati, che ha vinto il premio Strega nel 2019.

«M. il figlio del Secolo racconta un periodo che in teoria dovremmo studiare ma che poi nessuno davvero studia in storia  – Spiega Serino a Varesenews – Io stesso mi sono reso conto di non saperne niente: ho scoperto molte delle cose che ora so scrivendo la sceneggiatura».

Cosa ha scoperto, esattamente?
«Ho scoperto che bastava pochissimo per evitare la tragedia e invece niente e nessuno l’ha fermata. Si attendeva sempre che succedesse qualcosa che non è mai successa e ci si è ritrovati nella tragedia passo per passo, senza accorgersene quasi, sottovalutando i segnali. Spero che il racconto contenuto in questa serie illumini anche il presente»

Ad interpretare Benito Mussolini nella serie c’è Luca Marinelli (Nella foto in alto, nei panni di M.), già vincitore di un David di Donatello e di un nastro d’argento per la sua interpretazione di “Lo chiamavano Jeeg Robot” e interprete tra l’altro di “Martin Eden” (Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile) e “Le otto montagne”. Marinelli ha fatto un lavoro straordinario per rendere in maniera credibile la sua interpretazione: «Una somiglianza impressionante, e senza neanche tanti lavori di protesi – spiega Serino –  In una prima prova era stato truccato, la somiglianza era ugualmente impressionante ma ci erano volute tre ore di trucco. E lui doveva lavorare ogni giorno delle riprese. Così si è trasformato lui: ingrassando moltissimo e andando in giro per sei mesi con quell’assurdo taglio di capelli. Alla fine, le truccatrici oltre al normale trucco si limitavano a mettergli qualcosa per ingrandirgli il naso. È stata una prova d’attore pazzesca, la sua e quella di Benedetta Cimatti, che interpreta la moglie Rachele».

La scelta dell’allampanato Marinelli per interpretare il massiccio Mussolini è stata perlomeno curiosa dal punto di vista fisico: «E pensare che lui è stato il primo nome fatto, malgrado a prima vista non sembri nemmeno facile pensarlo. Ed è stata una bella intuizione: Luca ha fatto un lavoro monumentale. Per entrare nella parte gli abbiamo anche regalato il libro dei discorsi di Mussolini, un tomo enorme, e lui non solo lo ha letto tutto, ma ci ha dato suggerimenti per i dialoghi. A lui era rimasto impresso, per esempio, il termine “Solo i muli e i paracarri non cambiano idea”, e noi l’abbiamo inserito volentieri tra le frasi da fargli pronunciare».

Davide Serino  e M. Il figlio del secolo
Foto di gruppo del cast alla presentazione della serie

Una questione delicata

«Marinelli, come tanti altri coinvolti nell’operazione, ha avuto un sacco di dubbi prima di accettare: per motivazioni politiche, per il timore di essere identificato con lui – spiega Serino –  Era un sentimento comprensibile e sapevamo che questa era un’operazione delicata».

Anche perchè gli sceneggiatori hanno fatto una scelta azzardata: «Ci siamo allontanati molto dal libro nello scrivere la sceneggiatura – spiega  – Tanto che l’autore del libro, Antonio Scurati, che ha seguito tutto lo sviluppo, ad un certo punto ha detto “riconosco la maestria dei copioni ma non riesco a seguirvi sulla vostra strada”. La sceneggiatura parte infatti con un tono quasi grottesco, all’inizio Mussolini ti fa anche sorridere: per noi era importante fare abbassare la guardia allo spettatore e portarlo dritto nell’orrore finale della violenza fascista. Nel romanzo invece l’attenzione di Scurati era quella di non creare nessun tipo di empatia: per questo non ha più voluto seguirci. Lui però è stato alla fine affascinato per come l’avevamo reso».

Attraverso la trama della serie: «Si viene portati sempre più dentro alla storia – Spiega Serino – L’artificio, pesantemente presente, è la rottura della quarta parete (quella davanti al palcoscenico, o alla telecamera nel caso del cinema, ndr), che permette di affascinare il pubblico e comprendere le sue mire apertamente doppiogiochiste. Anche il libro è così, ma solo all’inizio. Noi portiamo invece questo modo di narrare fino alla fine: è una costruzione rischiosa ma pensata per giocare tra empatia e orrore».

Una responsabilità grande, quella di far capire una situazione facendo compentrare lo spettatore, una scelta che prevede il rischio opposto, quello dell’emulazione: «Abbiamo grande fiducia verso lo spettatore, che è per una serie come questa prevediamo come chiaramente adulto e alfabetizzato sulla serialità e sui suoi metodi – risponde – Ma abbiamo fatto anche un paio di proiezioni per i ragazzi dei licei, e il silenzio con cui l’hanno guardato, e le domande che hanno fatto dopo ci hanno fatto comprendere che almeno con loro il rischio sembra scongiurato».

Una storia molto italiana: «Che però abbiamo cercato di universalizzare scegliendo un regista internazionale, Joe Wright, che ha fatto diversi film e serie storiche con un taglio moderno: il racconto del fascismo è storia ma è anche racconto del populismo come c’è anche ora».

A maggior ragione, raccontarlo è una questione davvero delicata: «In realtà abbiamo iniziato a prepararlo nel 2017, i venti dei populismi c’erano ma non così forti come si sentono ora. La verità è che, quando le cose si fanno difficili, il sentimento di lasciare a qualcuno che se ne faccia carico i problemi che sembrano impossibili da affrontare è una cosa molto umana. Se ci pensate, Mussolini ha inventato il “brand” populista più di successo: il nazismo è morto, il fascismo rinasce ovunque. È quindi una questione universale».

Dove sarai il 10, quando verrà messa in onda per la prima volta in televisione?
«Sarò a Roma: l’8 facciamo la prima e unica proiezione al pubblico al cinema, al Troisi. Una maratona destinata a chi sopravvive, visto che sono circa 7 ore di proiezione. I biglietti sono andati sold out in tre ore, il che ci rassicura sul fatto che c’è molta voglia di vederlo, e fa anche pensare che una vita al cinema avrebbe potuto averla, magari divisa a metà come Esterno Notte. Sarebbe stato bello, ma poi Sky ha preferito fare diversamente, comprensibilmente».

Hai qualche indicazione da dare a chi si appresta a vederla?
«Se non erro verranno mandati in onda due episodi a serata: è una serie impegnativa e avvincente, piena di citazioni fin dal suo inizio, che chissà se qualcuno noterà… Non ho indicazioni se non “godetevela”. O forse una ne ho: mettete giù il cellulare. Questa è una serie che merita una soglia di attenzione alta»

Davide Serino  e M. Il figlio del secolo
Davide Serino

La creatività non è in crisi

Nella scorsa intervista l’avevamo lasciato con molte cose da fare, tutte insieme. È ancora così o i tempi sono cambiati?
«Il mercato cinematografico ha avuto una contrazione ma principalmente sui set, è quella parte del lavoro che soffre. Sulla creatività c’è invece ancora tantissimo. Adesso io sto lavorando a una possibile seconda stagione della serie Carème su Apple TV, una serie sul primo celebrity chef francese, all’epoca di Napoleone, la cui prima stagione in Italia non si è ancora vista. Poi sto lavorando al nuovo film di Gabriele Mainetti, e mi sto approcciando a Netflix. È poi appena uscita la seconda stagione di Bad Guy, ma non so ancora se ne prevedono una terza».

Serino è anche tra gli sceneggiatori della contestata “Qui non è Hollywood“.
Era anche lei tra quelli che avevano inserito il nome di Avetrana nel titolo, cosa che ha fatto inalberare il sindaco della cittadina pugliese?
«In realtà, il titolo originale era proprio “Qui non è Hollywood” e basta, il nome di Avetrana era stato aggiunto per rendere più comprensibile di cosa si parlasse. Io comunque sono contento di come è venuta. Io non amo scrivere testi per fatti di cronaca, e Avetrana è un caso di cronaca nera con un finale anche meschino, che ci ha permesso di fare un racconto di cronaca diverso, tutto familiare,  e alla fine è un’opera di cui sono molto fiero e Pippo Mezzapesa ha fatto un’opera incredibile»

Sembra tu si stia specializzando nel raccontare la storia, è una proposta sua o dei produttori?
«All’inizio è nato per caso: era storico il mio primissimo lavoro, “1992”, dove dovevo fare solo ricerca. Ora i committenti ne propongono tante: perchè le storie storiche, ambientate non nel presente, permettono per certi versi di staccare dal presente, ma illuminando l’attualità. I produttori sanno come lavoro: a me piace studiare, così questo genere di racconti mi è facile comporli, e se sono richiesti tanto meglio. Quello che cerco di fare io è di tenermi una fetta di progetti cosi, molto richiesti, e parallelamente costruire racconti contemporanei ma totalmente originali: per questi ultimi la fiducia dei produttori è più difficile da ottenere, ma sono una grande soddisfazione».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 07 Gennaio 2025
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