È di Varese uno dei “capi“ della rivolta in carcere a Pavia del marzo 2020

Processo nell'aula bunker con clima di grande tensione per fatti che hanno lasciato il segno. Sentiti testi del pubblico ministero. “Devastazione e lesioni, danni per 600 mila euro”

penitenziaria

Blocco dei colloqui, difficoltà a vedere i parenti, unica forma di contatto con l’esterno nel mezzo della più grave emergenza sanitaria del secolo: la pandemia da Covid che picchiò duro, specialmente in ambienti come le carceri che soffrono di sovraffollamento e sofferenza. Per questo motivo nella primavera del 2020 scoppiarono quasi in concomitanza con altre case circondariali e istituti di pena italiani pesanti disordini.

Una delle “piazze“ più calde fu proprio il carcere di Pavia dove la protesta scoppiò in maniera oltremodo violenta l’8 marzo 2020 quando un gruppo di detenuti, circa un centinaio, appiccò le fiamme alle lenzuola servendosi di fornelletti a gas. Risultato: ali della prigione sature di fumo con detenuti che rischiarono l’intossicazione; agenti della polizia penitenziaria, due, salvati in extremis dai colleghi che li hanno rianimati e messi in salvo; detenuti sui tetti fra striscioni e fumo che saliva dalle coperture. (nella foto, i disordini: poliziapenitenziaria.it)

Per questi disordini, con l’accusa di “devastazione“, “lesioni aggravate“ e “danneggiamenti“ (danni stimati per almeno 600 mila euro) sono alla sbarra diverse decine di persone in quei giorni in carcere, e ritenute appartenenti a membri che parteciparono alla rivolta. Fra questi un cittadino straniero residente in provincia di Varese che era in carcere per reati contro il patrimonio considerato uno dei capi della rivolta, ma parimenti ritenuto pure uno dei pacificatori, cioè in grado di poter influenzare gli altri, a tal punto che, secondo il difensore, avvocato Gianluca Franchi, «si fece da intermediario per placare le violenze e divenne l’anello di collegamento fra i facinorosi e le autorità che stavano trattando per far rientrare i disordini: prefetto, e procuratore della repubblica».

 La sommossa, come si accennava, si verificò in concomitanza con episodi simili in altre carceri italiane. I detenuti protestavano contro il blocco dei colloqui, dovuto all’emergenza sanitaria, e le condizioni di sovraffollamento nelle celle che avrebbero aumentato i rischi di contagio. A Pavia, come riporta l’Ansa, vennero danneggiate docce, quadri elettrici, telecamere (la sala “Var” dove confluiscono tutte le immagini degli apparati di sicurezza) e pareti. Solo a tarda notte, dopo una lunga mediazione, i detenuti tornarono nelle celle.

Tre agenti rimasero feriti. Le indagini, chiuse da tempo, sembrano non essere state in grado di identificare i responsabili degli incendi mentre per i rimanenti capi d’imputazione il processo è entrato nel vivo del dibattimento come le prime escussioni di testimoni che dopo le udienze della scorsa estate sono riprese oggi, 30 gennaio, con otto testi dell’accusa cui seguiranno le testimonianze di altri 30 testimoni chiamati dalla difesa che verranno sentirti a marzo in aula bunker sempre a Pavia in un processo dove si respira aria di forti pulsioni, per fatti che hanno lasciato un segno profondo nella città.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 30 Gennaio 2025
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