Francesca da Varese a Digione: “La mia ricerca con i bambini tra musica e scienza. Varese manca e il falò lo guarderò online”
Nel 2024 si è trasferita a Digione, in Francia, per un dottorato di ricerca sul legame tra la musica e lo sviluppo del linguaggio nei bambini. Nonostante le difficoltà iniziali e la nostalgia, Francesca ha trovato un ambiente che valorizza la ricerca

Francesca Cantoni, originaria di Varese, ha 26 anni ha sempre avuto una passione per la musica e la psicologia. Dopo aver completato gli studi in Neuroscienze e Psicologia della musica a Pavia e Milano, ha deciso di continuare la sua carriera all’estero.
Nel 2024 si è trasferita a Digione, in Francia, per un dottorato di ricerca sul legame tra la musica e lo sviluppo del linguaggio nei bambini. Nonostante le difficoltà iniziali e la nostalgia, Francesca ha trovato un ambiente che valorizza la ricerca e le ha permesso di conciliare le sue due grandi passioni.
Oggi, a più di un anno dal suo trasferimento, Francesca è entusiasta del suo lavoro e delle opportunità che la città le offre, ma non dimentica mai le sue radici italiane. La sua esperienza all’estero le ha permesso di crescere professionalmente e personalmente, ma il richiamo di casa è sempre forte.
Ecco il suo racconto:
All’inizio non realizzi di aver salutato il tuo paese per chissà quanti anni. Sei presa dall’euforia della novità e della “grande” opportunità di lavorare all’estero. Ma poi, più passano i mesi, più ti rendi conto che quel “tornerò presto” nasconde una piccola bugia che ci siamo raccontati per avere il coraggio di partire.
Qualche mese prima di terminare gli studi, avevo deciso di proseguire nella ricerca in Neuroscienze e Psicologia della musica, un ambito in cui mi ero specializzata durante la laurea magistrale a Pavia, mentre frequentavo contemporaneamente il corso di Pianoforte Pop al Conservatorio di Milano. A sostenermi e motivarmi è stata anche la mia professoressa, con cui ho svolto la tesi e a cui devo moltissimo: prima di tutto, mi ha mostrato che un lavoro in questo ambito è possibile. Lei stessa ne è un esempio. Questa curiosità per la musica e i suoi effetti sul cervello, le nostre vite e relazioni mi ha sempre accompagnata. Ricordo un giorno, quando ero piccola, forse alle elementari, di essermi detta: “Da grande voglio inventare un modo per aprire la testa e vedere dentro cosa succede quando ascolti Tiziano Ferro”. Sorrido con tenerezza ripensando a quel momento. All’epoca non immaginavo che esistessero persone che lavorano proprio su questi temi! Certo, non si apre letteralmente la testa, ma il senso era quello. Poi, arrivata all’università, ho iniziato lentamente a scoprire questo mondo, di cui mi sono subito innamorata.
Così, poco prima della laurea, spinta da uno slancio emotivo fortissimo, ho iniziato a cercare tutti i centri di ricerca in Italia che si occupassero di questi argomenti, con l’idea di candidarmi per un dottorato o un contratto di ricerca. Mi sono però presto resa conto che erano talmente pochi da non poter più ignorare quella vocina nella testa che già da tempo mi diceva una sola cosa: partire all’estero.
Poco dopo, si è aperta una posizione per un dottorato in un laboratorio a Digione. Ricordo che la mia prima reazione è stata: “Ma chi conosce questa città?” Ho dovuto aprire maps per scoprire che si trova in Borgogna, famosa per la senape e il buon vino. “No, ma è troppo lontano”, ho pensato. Non sono mai stata un’amante delle partenze, anzi, penso sia una delle cose più difficili: lasciare andare. Ma sotto sotto sentivo che era arrivato il momento. E così ho accettato il posto, ma con la rassicurazione: “tornerò presto”.
Ora è più di un anno che mi sono trasferita. Mi occupo di studiare lo sviluppo delle abilità ritmiche nei bambini e il loro legame con il linguaggio. La musica può infatti rafforzare lo sviluppo del linguaggio e intervenire su eventuali disturbi, come la dislessia. Amo il mio lavoro e mi sento molto fortunata. Sono riuscita a mettere insieme le mie due grandi passioni: la musica e la psicologia.
La verità è che qui il lavoro funziona, la ricerca viene valorizzata. Ho un ottimo stipendio, che mi permette finalmente di fare regali ai miei genitori e alle persone care. Ho un ufficio con un computer, due schermi e tutto ciò di cui ho bisogno. In Italia i dottorandi spesso devono comprarsi il proprio PC per lavorare e faticano ad arrivare a fine mese. Qui, invece, ci sono attività formative che ti preparano alla divulgazione scientifica, sostenendo e rafforzando la tua ricerca. Ho una carta sconto per gran parte degli eventi culturali della città. Posso andare ai concerti pagando solo 5 euro, al cinema 3, e mi sento sicura quando esco da sola la sera. Ora parlo una nuova lingua e sento che Digione mi sta permettendo di scoprirmi più a fondo, regalandomi molti momenti di solitudine, che non è isolamento, ma opportunità di cura di sé. Ho incontrato persone straordinarie che mi hanno accolta e da cui sto imparando tanto.
Ovviamente, però, non posso dimenticare le mie origini. Ogni volta che prendo il treno per tornare a Varese, sento una sensazione che sale dal petto e arriva fino agli occhi e me li inumidisce. Credo che questo sia ciò che il mondo chiama “sentirsi a casa”. In questi momenti, mi rendo conto di quanto alcune cose dell’Italia non possano essere sostituite: la socialità, il calore, la gentilezza, il nostro portare sole anche nei posti dove la luce non arriva, come il luogo in cui sono capitata io. Poi, però, bisogna riprendere il treno e tornare alla quotidianità estera. Chissà per quanti anni ancora dovrò spostarmi di laboratorio in laboratorio, in giro per il mondo, per inseguire il sogno di quella piccola bambina appassionata di musica che voleva “aprire la testa” per guardarci dentro.
In questi giorni sto definendo la meta del mio periodo all’estero che farò a breve, all’interno del mio dottorato. Forse il Nord d’Europa, forse il Canada. Aspetto il momento in cui sarà l’Italia ad accogliermi di nuovo e a dare il giusto spazio alla ricerca. Mi piacerebbe molto diventare prof. Amo insegnare e credo fortemente nel potere trasformativo della pedagogia, come strumento per cambiare le cose e migliorare la società.
Nell’attesa, vivo costantemente questo senso di sradicamento. Dov’è casa mia? Dove batte il cuore e si bagnano gli occhi o dove posso vivere facendo ciò che amo?
“Tornerò presto”, ma intanto è già arrivato il secondo inverno e il falò di sant’Antonio lo vedrò anche quest’anno dalle storie di Instagram delle mie amiche.
In un recente articolo abbiamo scritto di come siano oltre 70mila i varesini che si sono trasferiti all’estero. Proprio come con Sofia ci piacerebbe raccontare, per quanto possibile, chi siano, di cosa si occupano e dove si trovano là fuori nel mondo. Se vivete all’estero e vi piacerebbe mettervi in contatto con noi potete compilare questo modulo, vi contatteremo al più presto. Abbiamo anche aperto un gruppo Facebook per tenerci in contatto, lo trovate qui.
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