Il Salvatore del terzo millennio è femminile
Le donne possiedono queste straordinarie capacità di ascolto, organizzazione e resilienza, ma non sono loro a governare il mondo
Ieri è stata una giornata che mi ha fatto riflettere, più di altre volte, sul ruolo delle donne nella società e su come il loro approccio al mondo potrebbe, in molti casi, rendere le cose migliori. Ho letto, ascoltato, osservato e condiviso esperienze che, apparentemente scollegate, si sono intrecciate in una narrazione unica. E alla fine della giornata, mi sono posto una domanda: perché le donne, con tutte queste qualità, non governano il mondo?
Ho letto un articolo sull’Islanda, paese che da decenni è un modello di avanguardia femminista. È stato il primo a eleggere una donna presidente 45 anni fa e ora, per la prima volta, i due ruoli di maggior rilievo – presidente e primo ministro – sono entrambi occupati da donne. Il nuovo governo, soprannominato “Le Valchirie”, è una coalizione interamente guidata da leader femminili che, pur provenendo da esperienze diverse, condividono una visione progressista e un approccio centrato sul dialogo. La giovane premier Kristrún Frostadóttir ha dichiarato che il suo obiettivo è dimostrare un nuovo modo di fare politica, un modo più umano, inclusivo e attento al welfare. Una leadership che ascolta e si concentra sulle persone comuni piuttosto che sulle élite.
Poi, ho visto una foto incredibile: un neonato, appena venuto al mondo su una barca sovraffollata di migranti al largo di Lanzarote. La madre, che ha affrontato il travaglio in condizioni che definire estreme è poco, è circondata da mani che la sorreggono, da volti rivolti verso di lei e il suo bambino con un misto di stupore e sollievo. Mi sono chiesto: che cosa ha provato quella donna? Quale forza fisica ed emotiva ha dovuto trovare per portare alla luce una vita in circostanze così difficili? Questo piccolo miracolo, reso possibile dalla resistenza e dalla capacità di adattamento femminile, mi ha ricordato come il gesto di dare la vita sia, per sua natura, un atto di supremo ascolto e organizzazione.
Nel frattempo, mia moglie è uscita con le sue amiche per vedere Diamanti, l’ultimo film di Ferzan Özpetek. Me ne ha parlato al ritorno: è una celebrazione del mondo femminile, della sua resilienza e della solidarietà tra donne. Attraverso la storia di due sorelle che gestiscono un atelier di moda negli anni Settanta, il film esplora il legame profondo che unisce le donne nonostante le differenze personali. La narrazione mette in luce come il lavoro collettivo e la capacità di superare le sfide insieme siano strumenti potenti per affrontare le difficoltà della vita.
Nel pomeriggio, ho ascoltato un’intervista con Virginia Bramati, autrice del romanzo Omicidio in cashmere. Anche lei racconta, seppur attraverso il genere giallo, un universo femminile fatto di empatia, intuito e forza interiore. La protagonista, Adelaide, è una donna che si muove tra complessità economiche e legami affettivi, riuscendo a navigare in un mondo maschile con intelligenza e sensibilità.
In serata, ho accompagnato mio figlio alla sua partita di calcio, arbitrata da una giovane donna di appena 17 anni. La sua direzione di gara è stata un po' altalenante: alcuni errori evidenti sono stati compensati, però, da un comportamento in campo estremamente corretto. Spiegava ogni scelta dibattuta ai ragazzi con calma e chiarezza, cercando di mantenere un clima sereno e rispettoso. Mi sono chiesto: quanto è importante che anche professioni tradizionalmente maschili, come quella dell’arbitro, possano accogliere una leadership femminile? Alla fine, ciò che deve prevalere non è tanto il genere, ma la competenza. Questa giovane arbitra ha dimostrato che, con passione e dedizione, si può aprire la strada verso un futuro in cui le donne siano sempre più presenti in ruoli di responsabilità, anche nei contesti più inattesi.
General Alla fine della giornata, mi sono chiesto: perché, se le donne possiedono queste straordinarie capacità di ascolto, organizzazione e resilienza, non sono loro a governare il mondo? La risposta, penso, risieda in due fattori storici e culturali principali. Nelle società antiche, dove la forza fisica era cruciale per la sopravvivenza, gli uomini hanno assunto ruoli di leadership basati sulla loro maggiore forza muscolare. Questo ha dato origine a strutture di potere patriarcali che si sono consolidate nel tempo. Nel corso della storia, molte tradizioni religiose e culturali hanno relegato le donne a ruoli subordinati, spesso esaltandone le qualità domestiche ma escludendole dalla sfera pubblica e decisionale. Questi sistemi hanno perpetuato una visione limitata del potenziale femminile.
Oggi, però, stiamo assistendo a un cambiamento. La leadership femminile – come dimostrano esempi dall’Islanda alle storie di vita quotidiana – sta ridefinendo i paradigmi, dimostrando che il potere può essere esercitato in modo più umano, collaborativo e inclusivo. La vera sfida è continuare su questa strada, non solo per le donne ma anche per gli uomini, promuovendo una leadership che sappia integrare empatia e pragmatismo, forza e ascolto. Solo così possiamo costruire una società più giusta, capace di affrontare le complessità del nostro tempo con resilienza e creatività. E continuiamo a sperare che, forse un giorno, non ci chiederemo più perché le donne non governano il mondo. Perché lo staranno già facendo, insieme agli uomini, in un equilibrio finalmente raggiunto.
“Non hanno vino”, Maria di Nazareth.
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