L’italia e la sua Sanità: “Chi governa deve stare dalla parte dei cittadini”

Un quadro preoccupante tratteggiato dal sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin: “Probabilmente l’organizzazione sanitaria non è evidentemente nella testa di chi politicamente o in termini lobbistici la dirige, o forse sì se l’obbiettivo è quello di smantellarla progressivamente“

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Pubblichiamo l’intervento del sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin in merito al tema della sanità. Un excursus storico che arriva ai nostri giorni carichi di criticità per un tema fondamentale per la vita dei cittadini.

È oggi evidente che sotto lo slogan dell’efficienza si è operato in questi anni per depotenziare a vantaggio delle strutture private la sanità pubblica e che le risorse assorbite dalla sanità privata sono state progressivamente sottratte a quella pubblica. La salute, quale bene comune, deve essere garantita e assicurata a tutti senza distinzione alcuna di sesso, di età, di colore della pelle, di appartenenza sociale, di disponibilità economica. MA NON TUTTI I SISTEMI SANITARI SONO BENE COMUNE. Certamente non lo sono quelli assicurativi che garantiscono le cure e le prestazioni in base al premio pagato e che si limitano a rimborsare la malattia non senza porre limiti e condizioni restrittive. Non lo sono neppure quelli mutualistici, che pur introducendo tra gli appartenenti alle varie categorie un vincolo di solidarietà, trasformano il diritto della persona in diritto del lavoratore o comunque dell’iscritto a quella cassa mutua creando evidenti discriminazioni. Non lo sono neppure i cosiddetti sistemi misti che prevedono una serie di servizi garantiti a tutti, ma che poi introducono forme assicurative per ulteriori prestazioni non meno essenziali delle altre. Non lo sono certamente quei sistemi sanitari a prevalente gestione privata, perché affidano un bene tanto prezioso e delicato alle logiche del mercato e riservano alla sfera pubblica una funzione meramente riparatrice di fronte a macroscopiche disuguaglianze. Se la sanità è un bene comune ognuno contribuisce a quel costo in base alle proprie possibilità, e ciascuno ne usufruisce in base al proprio bisogno.

A nessuno viene chiesta la carta di credito per l’accesso alle cure, ma neppure il 740, perché non è in base alle tasse pagate che si ha diritto alla presa in carico. La sanità italiana costa la metà di quella americana, ha una spesa inferiore anche rispetto alla media dei Paesi Ocse e una qualità ed efficacia che la collocano ai primi posti nel mondo. Spetta alla politica e alle istituzioni della Repubblica assicurare un sistema sanitario che rispetti il principio universalistico nel finanziamento, attraverso una fiscalità giusta ma esigente, che non tollera evasione ed elusione, così come spetta ai cittadini la fedeltà fiscale verso la comunità perché al bene comune non vengano meno le risorse necessarie. La sanità non può e non deve essere un bene prevalentemente privatistico, ma non può nemmeno essere una struttura burocratica. Non può essere proprietà di un partito o di una coalizione e i direttori generali non dovrebbero rispondere a logiche di spartizione ma ai soli criteri di competenza e capacità meritocratica, così come i medici e tutti i professionisti sanitari ai quali va riconosciuto un giusto compenso per l’importante ruolo svolto. Oltremodo la sanità non dovrebbe essere “terreno di caccia” per le case farmaceutiche o i costruttori edili o elemento di forte guadagno per i produttori di tecnologie. Si dice sempre, e da molti anni volutamente lo si disattente, che occorrono regole molto rigorose e un modello organizzativo che sappia tenere sotto controllo il sistema sanitario capace di considerare il diritto alla salute come un diritto fondamentale della persona.

La Legge 833 del 1978, del ministro DC Tina Anselmi con il grande contributo di Giovanni Berlinguer, del PCI, concretizzava ciò che dice la Costituzione: la salute è un diritto fondamentale della persona. Vent’anni dopo, il governo Prodi ha aggiornato il Servizio Sanitario Nazionale e corretto la controriforma liberista del ministro De Lorenzo (1992). Poi i governi di centrodestra non hanno tutelato le coerenze del sistema ed infine, negli anni della crisi finanziaria, sbagliando anche da parte di chi si definiva di centro sinistra, tutto il sistema pubblico è stato sottofinanziato, con particolare accanimento su ciò che andava difeso e rilanciato: la salute e la scuola, con il risultato oggi a tutti noi purtroppo evidente che pone la tutela della salute non più come un diritto fondamentale ma quale privilegio riservato in molti casi a coloro che economicamente se lo possono permettere. In Lombardia esiste una apparente contraddizione nella sanità: che se da un lato viene definita “eccellente” ed è in grado di attirare molti pazienti da fuori regione, al contrario si scontra poi con il dato delle lunghe liste d’attesa, carenza di medici, di personale, di attrezzature, scarsa copertura del territorio, assenza dei medici di base.

È però necessario precisare che il termine “eccellente” viene in genere riferito ad alcune strutture private/strutture pubbliche/universitarie di grande prestigio e che effettivamente costituiscono la meta di viaggi della speranza da tutta Italia. Non è sempre così invece per la maggioranza degli ospedali pubblici, che spesso faticano persino nell’attività ordinaria. L’altra condizione, forse più importante, riguarda la possibilità, offerta solamente alle strutture private, di poter scegliere i malati e le malattie più “redditizie” ed investire su strumentazione e professionisti di alto livello, in quanto la sanità privata accreditata può scegliere di cosa occuparsi e troppo spesso si concentra sulle prestazioni assai convenienti dal punto di vista economico, al contrario di una sanità pubblica che invece non ha alcuna possibilità di scelta in quanto obbligata a coprire le esigenze della popolazione a 360 gradi, senza alcuna possibilità di scelta. Facciamo alcuni esempi pratici: Se una persona deve fare la prenotazione di una visita, disposta dal medico di base per una verifica preventiva delle condizioni di salute, deve recarsi al CUP. Nel 90% dei casi la risposta è: non ci sono posti disponibili nelle strutture pubbliche, (questo vale anche per il numero verde regionale), o se ci sono i tempi sono di molti mesi se non dell’anno successivo, spesso fuori dal contesto operativo di zona e alcune volte fuori da quello provinciale.

L’alternativa suggerita dagli operatori dal CUP e del servizio regionale è prevalentemente quella delle strutture private/accreditate ai quali si deve telefonare per verificare l’eventuale disponibilità. Oggi la risposta non trova riscontro in tempi relativamente brevi se non nella risposta: se vuole può usufruire del sistema privatistico, i tempi sono molto brevi, così come il costo che risulta purtroppo elevato. È vero che se i tempi massimi di attesa superano quelli stabiliti, si può chiedere alla Direzione Sanitaria della propria ASL di appartenenza che la prestazione venga fornita in intramoenia senza dover pagare il medico come “privato”, ma corrispondendo solo il ticket. Un diritto che può essere esercitato per tante tipologie di esami e visite specialistiche ma che diventa di difficile applicazione nell’ambito di una condizione di età, di gravità della malattia, di disponibilità di mezzi necessari a coprire la distanza dal luogo della visita, ma soprattutto nella ricerca di uno specialista disponibile a sopperire alle esigenze di urgenza in un sistema complesso di rimborso dei costi. Probabilmente l’organizzazione sanitaria non è evidentemente nella testa di chi politicamente o in termini lobbistici la dirige, o forse sì se l’obbiettivo è quello di smantellarla progressivamente, in quanto se nulla cambia, il personale continuerà ad essere scarso, sofferente, malpagato, talvolta mal sopportato, insultato, picchiato e troppo spesso non ascoltato. Non stupiamoci quindi se molti professionisti stanno abbandonando una nave che sta pericolosamente sbandando. Forse nessuno ha ancora capito, (ed è questa la cosa più grave), che l’assistenza sanitaria la fanno gli operatori, non i muri e che investire nei professionisti, valorizzarne il merito e le capacità, magari pagarli il giusto e fornirli di strumentazione ed organizzazione adeguate, appare l’unica soluzione per rimediare ad una situazione sempre più preoccupante e sempre meno sopportabile.

Il Sindaco del comune di Brenta Gianpietro Ballardin

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 13 Gennaio 2025
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