Minacciò l’ex compagna a Luino davanti alla figlia: “Ti brucio viva”. Chiesti due anni di carcere
Il processo per maltrattamenti in famiglia: l’imputato detenuto per droga. Il difensore: «Non voleva che lei sniffasse cocaina mentre era incinta»
È un panorama devastante quello descritto oggi – martedì 14 gennaio – in aula a Varese, fatto di una donna incinta che assume cocaina e dal suo compagno che si oppone con la violenza. Oppure scene che dopo la nascita della figlia, e in presenza della bambina stessa, riportano di minacce rivolte all’oramai ex compagna: «Ti brucio viva», con l’intento di evitare nuove frequentazioni della donna e della bambina.
Tutto quanto riportato è finito in un processo per maltrattamenti aggravati in famiglia, e riassunto nella requisitoria del pubblico ministero Maria Claudia Contini che, dinanzi al Collegio di Varese, ha chiesto per quei fatti una condanna a due anni per un uomo già detenuto per ragioni legate alla droga. A un quadro che si innesta evidentemente in rapporti umani e personali completamente deteriorati, avvenuti nella zona del Luinese, si aggiunga che la giovane donna in uno dei fatti contestati sarebbe stata aggredita. Questo fatto risale al novembre 2020 e in quell’occasione la giovane si sarebbe rifugiata in camera da letto insieme alla bambina, difesa dalla suocera.
In seguito a questo episodio si interrompe la convivenza fra le parti. Incontri che però proseguono e avvengono poi in alberghi (ne febbraio 2021) dove la ragazza, secondo l’accusa, sarebbe stata nuovamente aggredita dopo litigio con l’ex, alla presenza della bambina di soli 5 mesi. Altra scena, con l’imputato che si sarebbe presentato alterato già di mattina con una pistola in mano.
Atteggiamenti in parte ammessi dall’imputato «ma legati alla necessità di evitare per esempio che la donna si drogasse mentre era incinta», ha specificato il difensore Corrado Viazzo che ha citato Manzoni in relazione alle percosse mal date e ben ricevute», riferendosi allo specifico episodio dell’assunzione di cocaina della donna. Per questo il difensore ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato e in subordine l’esclusione delle aggravanti o la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate tale da portare al minimo della pena.
Una richiesta abbinata ad una considerazione di fondo, e finale, sulla vicenda che può suonare come un monito in relazione alla frequenza di processi per reati di questa natura: «Sembra diventata una moda, al termine di una relazione, la contestuale denuncia per maltrattamenti in famiglia», ha ricordato il difensore. Alla prossima udienza la decisione dei giudici.
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