“L’Avaro” di Saravo, una rilettura pop tra critica sociale e ironia

Lo spettacolo è in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 2 marzo. La recensione

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È davvero coraggiosa la reinterpretazione del regista Luigi Saravo de ‘L’Avaro’ di Molière, capace di mettere in scena attori vestiti con abiti anni Settanta, che si scattano selfie con smartphone, proiettare spot pubblicitari sotto forma madrigali e trovando spazio per ‘Uptown Funk’ di Mark Ronson trasformato in uno stacco musicale a metà spettacolo, tutto questo in un’attualizzazione perfetta dell’opera. Strepitosa l’interpretazione di Ugo Dighero nei panni del protagonista. Lo spettacolo è in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 2 marzo.

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L’Avaro di Savaro in scena al Teatro Manzoni di Milano 4 di 7

Quando nel 1668 la pièce fu rappresentata per la prima volta al Teatro di Palais-Royal, emersero due elementi innovativi: la presenza di un copione che sostituiva l’improvvisazione e la maggiore importanza concessa agli attori in termini di identità. Il teatro molièriano mirava infatti a ridurre l’uso delle maschere, dando più spazio alle individualità fisiche e psicologiche. Da qui un maggiore spessore umano, volto a rendere la rappresentazione più realistica e a far emergere con forza le diverse tematiche trattate.

Con opere come ‘L’Avaro’ o ‘Il malato immaginario’, Molière metteva in scena una critica diretta alla società secentesca, in cui il divario tra i ceti sociali era particolarmente evidente. ‘L’Avaro’ di Saravo è fedele alla direzione della critica dell’originale, ma cambia il metalinguaggio per due motivi ben precisi: attualizzare il messaggio e renderlo accessibile a target diversi, tra cui i giovani, esperimento interessante in un Paese in cui, secondo ISTAT, nel 2022 solo il 12,1% degli italiani sopra i sei anni ha assistito ad almeno uno spettacolo teatrale.

Ugo Dighero è superlativo nel dare vita a un Arpagone dominato dalla cupidigia e da una sfrenata avarizia, che dichiara di amare il denaro sopra ogni altra cosa, sentimenti compresi. Protagonisti di questa deviazione i figli, vessati dalla sua totale incapacità nel dare valore a qualcosa che non sia la sua ricchezza. Questo concetto viene ribadito più volte nel corso dello spettacolo attraverso il quale la distanza tra il protagonista, i figli e lentourage aumenta sensibilmente, mentre si avvicina quella con il suo amato denaro, distanza che neppure gli spot pubblicitari, trasformati in madrigali, in cui un coro di fanciulli canta offerte di investimento, può diminuire vista la visione conservativa e ossessiva di Arpagone.

Forse però, l’elemento meglio riuscito dell’intera rappresentazione è il contesto in cui si muovono i personaggi che orbitano attorno al protagonista: i figli Cleante ed Elisa, Valerio (figlio di Anselmo e innamorato di Elisa), Marianna (amata da Arpagone ma innamorata di Cleante), Frosina, Mastro Simon, Mastro Giacomo, Saetta e il Commissario, interpretato dallo stesso Luigi Saravo.

Nella prima parte dello spettacolo, questi personaggi appaiono come vittime sacrificali della tirannia di Arpagone, ma in realtà sono tutti attratti dalla sua fortuna, decidendo di non abbandonare quel contesto perché, pur non dichiarandolo apertamente, il denaro esercita su di loro una forte attrazione. Nel corso della rappresentazione emergono molteplici richiami alla contemporaneità e alla società dei consumi, in diverse forme alcuni fissati dai selfie scattati con lo smartphone dai protagonisti, che sottolineano un fenomeno tipico del nostro tempo: il bisogno di far circolare il denaro e alimentare il culto dell’apparenza attraverso i beni materiali, spingendo verso una crescita economica forzata. Un sistema da cui l’immobilista Arpagone rifugge con ostinazione.

L’apice dell’opera arriva con il furto del tesoro di Arpagone, momento catalizzante che riporta il copione alla sua veste più classica, già presente nell’Aulularia di Tito Maccio Plauto. Apprendere di essere sato derubato innesca genera una serie di squisite situazioni, inizialmente comiche, basate su equivoci e fraintendimenti, per poi culminare in un crescendo di emozioni che sfociano nella libertà da parte di tutte le coppie di seguire il proprio amorevole istinto, concedendo loro di promettersi amore eterno e incondizionato, tutto questo mentre il protagonista rimane solo con il suo tesoro, di cui è tornato in possesso. Ma proprio in quel momento accade qualcosa di inaspettato: l’avaro sopraffatto da un tourbillon di sentimenti si redime, e decide di liberarsi del suo denaro facendolo piovere sui presenti, rivelando la loro vera natura.

In un climax grottesco e feroce, gli stessi personaggi che fino a poco prima si erano promessi amore, combattono con estrema avidità la conquista delle banconote, con il sipario che cala fotografando un’immagine potente almeno quanto attuale.

 

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Pubblicato il 19 Febbraio 2025
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