Marcello Borghi: “Lavoro e unità: nei playoff i Mastini possono ancora colpire”

L'attaccante giallonero tra ricordi di famiglia («Tutto nasce dalla passione dei nostri genitori»), esperienze personali, attualità e futuro («Voglio restare qui»). Giovedì 20 (ore 20,30) il Varese ad Aosta

marcello borghi mastini

(d. f.) Alle 20,30 di questa sera – giovedì 20 – penultimo impegno di Master Round per i Mastini che faranno visita all’Aosta, seconda forza della IHL. In vista del match contro i Gladiatori, pubblichiamo l’intervista a Marcello Borghi, 31 anni, bomber di razza e tassello chiave nello schieramento di Gaber Glavic.

Una dinastia, quella dei Borghi, con radici che affondano nel ghiaccio varesino, Francesco classe ‘91, Marcello ‘93 e Pietro ‘97. Avete anche giocato assieme e contro Egna siete andati a segno tutti e tre nella stessa partita. Da dove arriva questa passione? Lo chiediamo a Marcello, il mezzano, bomber di razza che anche quest’anno sta contribuendo in maniera pesante al cammino dei Mastini. 16 reti nelle prime 29 gare (secondo solo a Franchini) e 38 punti complessivi a conferma della sua importanza nello scacchiera giallonero.

«Merito di mamma e papà, si sono spostati a Milano per l’università tra la fine anni ‘80 e l’inizio anni ‘90, appassionandosi dell’hockey su ghiaccio ed in particolare del “Saima”, seguendo tutte le partite della squadra meneghina. Quando si sono spostati a Varese hanno deciso di mettere sul ghiaccio Francesco, che aveva 5 anni, io ne avevo solo 3 e giravo come un matto per lo stadio, quindi l’allenatore mi ha messo in pista e non ne sono più uscito. Nel mentre il destino di Pietro era segnato, visto che praticamente i miei genitori (papà Claudio è stato a lungo anche dirigente ndr) vivevano a bordo pista… e non avrebbe potuto fare altro».

Chi è il più forte dei tre?

«Siamo tutti fortissimi, ce lo dice sempre nostra mamma!».

Lei è nato sportivamente a Varese, ha fatto un passaggio negli USA con i Green Mountain a cui sono seguiti molti anni a Milano, poi ancora Varese. Ha mai pensato seriamente di fare il professionista?
«Si ci ho pensato, ho iniziato a Varese ma le esperienze in cui mi sono reso conto del grande divario le ho vissute grazie alla nazionale U14 quando, nelle valli, ho percepito un approccio a livello tecnico e tattico molto elevato. Poi si sono aperte due opportunità, la vicina Svizzera e l’America, ho deciso di andare oltreoceano vivendo un’esperienza unica in tutti i sensi. Sono rientrato e a Milano ho trovato un ottimo ambiente, e vivere di hockey non sarebbe stato male, ma fare il professionista in Italia è poco conveniente, e fare lo straniero da italiano all’estero non è semplice». (Foto: MDR Photo/Hcmv)

Oltre all’hockey quindi, lei di cosa si occupa ufficialmente?
«Mi occupo di un progetto legato all’eSport per un’azienda di Milano, la PLB eSports di Christian Vieri. In particolare gestisco una location che mette a disposizione di aziende e community spazi attrezzati per il videogioco e non solo».

Quanto è difficile coniugare la vita lavorativa alla passione per l’hockey su ghiaccio, giocando in un campionato impegnativo come la IHL?
«È molto complesso perché rispetto a tre anni fa sono aumentate le partite anche durante la settimana, l’impegno è quindi diventato più gravoso. Esiste poi un sacrificio nascosto, che è quello delle nostre famiglie, a cui sottraiamo parecchio tempo e che non smetteremo mai di ringraziare per concederci (quasi) senza recriminare, di dedicarci la nostra grande passione».

Immaginiamo un abbinamento con Alleghe per i prossimi play-off, crede che le trasferte molto impegnative in termini di tempo possano influire sul vostro rendimento una volta sul ghiaccio?
«Non molto, siamo abituati, lo facciamo da molti anni e quindi riusciamo a gestirci bene. Uscire dall’ufficio e salire su di un pullman, o tornare alle 5 del mattino e iniziare una giornata di lavoro non è affatto semplice, ma la passione e l’amore che abbiamo per questo sport ci aiuta tantissimo in questo senso».

Si parla di un ‘campionato italiano unico, cosa che giocoforza alzerebbe il livello, ma potrebbe sotto questo aspetto trasformarsi in un piccolo terremoto. Secondo lei piazze come Varese sono pronte ad affrontare una situazione simile che richiederebbe un investimento economico maggiore. Potrebbe questa cosa portare ad una contrattura dell’hockey riportandolo nelle valli?
«Sicuramente il rischio esiste. Varese è una città che offre molto a livello sportivo; il basket che può offrire grande visibiltà, il calcio che è nel DNA degli italiani. Però abbiamo una bella storia hockeistica a Varese, quindi sono positivo».

Glavic ha imposto un lavoro molto intenso, la parte fisica sembra molto importante per lui e anche gli schemi sembrano piuttosto rigidi. È solo un impressione esterna?
«È vero si lavora parecchio e Glavic è molto attento alla parte tecnica, ma nella mia personale carriera non è né l’allenatore che mi ha fatto lavorare più duramente, né l’allenatore con la più rigida impostazione a livello tattico che abbia avuto. Sotto quest’aspetto ad esempio, Da Rin aveva una preparazione molto alta con grande attenzione ai dettagli».

Ghiaccio e Guerra fredda

Quindi l’impressione di alcuni che sia “l’allenatore giusto nella squadra sbagliata”, visto che gli unici professionisti a Varese sono gli stranieri, non è del tutto corretta?
«No, per nulla. Al di là dei professionisti ci alleniamo tutti con la stessa voglia ed intensità nessuno escluso. Sono stato allenato da coach molto esigenti, come Barrasso che ci spremeva in tutti gli allenamenti in maniera incredibile. Il metodo di Glavic è corretto e va rispettato. Ovviamente il suo lavoro va oltre l’allentamento, deve fare anche importanti scelte, cosa non facile. Ma stiamo lavorando tutti per un obiettivo comune, quello di dare sempre il meglio sotto tutti i punti di vista».

È possibile che questo stile di hockey, molto tecnico, fatto di schemi serrati e molti passaggi, possa soffrire contro squadre che “rompono il gioco”? O quando i carichi di lavoro tolgono un po’ di lucidità alla manovra?
«Difficile capire con esattezza questa cosa: è stato un campionato strano, sicuramente la massiccia preparazione estiva è responsabile della partenza lenta, poi c’è stata la serie di vittorie di cui molti parlano, anche se in realtà non sono state partite così dominate come sembra. Abbiamo vinto contro il Fiemme grazie ad un gol di Mazzacane dalla linea blu… Poi c’è stato un periodo molto buio, ma direi normali alti e bassi. Perché come sempre ogni partita fa storia a se».

La pesante sconfitta in Coppa Italia ha lasciato l’amaro in bocca ed uno strascico di polemiche. Sotto i riflettori è andato l’allenatore ma non solo. Qual è oggi il clima in spogliatoio?
«Il clima è tranquillo e disteso, sappiamo cosa dobbiamo fare e come e sappiamo che il nostro allenatore ha come noi le idee chiare su come provare a farlo. Naturalmente c’è meno tranquillità per i risultati, visto che l’ultimo mese ci ha parecchio scombussolati, non tanto per le sconfitte in sé ma per come sono arrivate. Su questo stiamo lavorando, perché proprio con il duro lavoro e la coesione del gruppo possiamo ancora dire molto».

Vincere non è mai facile, lo abbiamo visto a spese dell’Aosta; un roster che sulla carta non aveva rivali ha fallito nella prima occasione vera. Qual è la sua lettura relativa a questa caduta?
«Aosta è un’ottima squadra, con un roster incredibile. Alla fine però contano i 60′ sul ghiaccio, e la bellezza dello sport è che nulla può essere scritto prima. Anche nel recente Super Bowl nella squadra che ha perso gioca uno degli atleti più forti della storia di questo sport, ma non è servito a limitare i danni. Nel calcio si configurano situazioni come quella del Manchester City o il Real Madrid in difficoltà. È lo sport, dove nulla appunto è scritto e a volte il roster stellare non basta».

Un campionato che si è parecchio evoluto negli ultimi 3 anni, e che vede molti giovani nel loro picco di crescita in tutte le squadre delle valli. Di contro i Mastini hanno la media età più alta del torneo. Può il fattore esperienza diventare determinante durante i play-off?
«Sicuramente in determinate situazioni come i play-off può aiutare, c’è da dire che l’esperienza è ormai assai diffusa. I giovani di Caldaro hanno giocato tre finali di Coppa Italia, una finale di campionato con noi. Anche Alleghe ha giocatori come Diego Iori che ha disputato diversi mondiali. Però ci punteremo molto, mettendo a disposizione di tutti il valore di esperienza maturato da chi ne ha più».

Nel marketing la pianificazione strategica utilizza la matrice SWOT, ovvero l’analisi dei “punti di forza”, di “debolezza”, la verifica delle “opportunità” e delle “minacce”, per inquadrare un problema e risolverlo. In termini hockeistici in vista dei play-off, quali sono le caratteristiche su cui i Mastini devono puntare? Quali invece i rischi?
«Il gruppo e il lavoro svolto in questi mesi sono il grande punto di forza dei Mastini, una base sicura quindi da cui partire. Come “debolezza” direi il fatto di partire da quarti: vincere partite importanti in trasferta non è mai facile. Per le opportunità sicuramente il forte desiderio di poter rivivere le incredibili emozioni di due anni fa, stimolo immenso di cui abbiamo bisogno. La minaccia potrebbe essere lo spettro del periodo di flessione che abbiamo avuto, un deterrente psicologico che dobbiamo scacciare, visto che come dico sempre “o si vince o si impara”. Quindi faremo tesoro anche delle sconfitte senza lasciarci sopraffare da questa cosa».

Cosa farà l’anno prossimo?

«Varese è casa mia! Ora poi è nato anche Ottavio, quindi Varese sarà per sempre la mia prima opzione. È dove voglio giocare e dove mi trovo bene, quindi spero di continuare a vestire la casacca giallonera».

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Pubblicato il 20 Febbraio 2025
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