Nel suo disco Jake La Furia ha ancora “fame di esprimersi”
L'album Fame di Jake La Furia unisce sonorità hip-hop moderne e old school per affrontare tematiche politico-sociali attuali, denunciando ingiustizie e invitando all'azione.
![Jake la furia - fame](https://www.varesenews.it/photogallery_new/images/2025/02/jake-la-furia-fame-1813134.610x431.jpg)
La parola “fame” deriva dal latino “fames”. La radice “fa-” conferisce al termine un’accezione di mancanza, rendendolo rappresentativo di una sensazione di incompletezza che, se riportata al piano alimentare, descrive il senso di appetito in seguito ad uno stato di digiuno. Probabilmente è questa la percezione che ha portato Jake La Furia a concepire un progetto di questo calibro: Fame, il suo nuovo album, segna il ritorno dell’ex dogo in versione solista.
Il disco, prodotto interamente da Night Skinny, ha un’impronta chiara e definita. L’hip-hop svolge il ruolo di assoluto protagonista, accogliendo e assorbendo influenze da parte dei sottogeneri annessi. La formula creata dal duo permette di rendere l’album contemporaneamente moderno e old school, aumentandone la fruibilità.
In questo progetto Jake si espone portando questioni politico-sociali di estrema attualità. I pezzi, generalmente incentrati sul coca-rap, acquisiscono una connotazione più profonda e riflessiva nella seconda metà dell’opera.
In Danza Della Pioggia, il rapper scrive: “sogno la rivoluzione in una notte di aprile, fiamme sul palazzo tutti gridano aprite”. La barra, teoricamente, farebbe riferimento alla rivoluzione d’aprile avvenuta in Afghanistan nel 1978. A prescindere dall’esattezza della citazione, il messaggio arriva forte e chiaro: per cambiare le cose, bisogna agire.
Sempre nello stesso pezzo, “a diciott’anni ti ha ammazzato di botte la polizia, tua madre piange sul sangue versato, le dicono che non sanno chi è stato e che è colpa tua perché eri un drogato”. In questo caso il rapper sembra alludere alla morte del diciottenne Federico Aldrovandi, caso di cronaca del 2005 che ha portato alla condanna di quattro poliziotti per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi e della violenza. Durante le indagini, nel dibattito mediatico, l’accaduto fu sminuito, con la tesi, smentita, che il ragazzo fosse morto per l’assunzione di droghe.
Ancora, “e qui muore una donna al giorno ed i giorni sono tanti, incolpano la trap e il porno e si va avanti”. Jake cita un fenomeno sempre più comune nel panorama opinionistico italiano: imputare la violenza ad un’unica causa, come se questa, da sola, riuscisse ad innescare una serie di comportamenti violenti nell’ascoltatore.
In 64 no brand, invece: “Non siete woke, siete wack, go back”. In passato, la parola woke (secondo il giornale “il post”) indicava l’atteggiamento di chi prestava attenzione alle ingiustizie sociali. Attualmente il termine ha assunto una connotazione sempre più negativa, definendo un comportamento censorio ed intollerante nei confronti di ideali opposti rispetto a quelli proposti dalla minoranza. In questo senso Jake appare critico rispetto a quest’ultimo atteggiamento, definendo come “wack” (stravagante nella sua accezione più negativa) le persone incapaci di aprirsi verso un’orizzonte di pensiero più ampio e articolato.
Attualmente, sono sempre meno i rapper (e, in generale, i personaggi influenti) ad utilizzare la propria voce per denunciare situazioni di disagio politico e sociale. L’ambiente cambia e ciò che prima era teatro di rivoluzioni ora è puro antinferno. Il ruolo di ignavo si fa sempre più centrale in una recita dal carattere triste e tragicomico. D’altronde, lo scrive anche lo stesso Jake: “non spegneranno il fuoco con la danza della pioggia”. Forse, l’unico modo è agire. Ora.
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