La cucina italiana esiste? La provocazione di Grandi e la storia che ci raccontano i piatti

Di Giuseppe Geneletti

pasta fresca

“La cucina italiana non esiste.” Con questa frase provocatoria, il professor Alberto Grandi, dell’Università di Parma (!), ha scosso l’opinione pubblica, mettendo in discussione uno dei pilastri dell’identità nazionale. Secondo Grandi, la nostra gastronomia sarebbe una costruzione recente, frutto dell’emigrazione, dell’industria alimentare e del marketing. In un’intervista al Financial Times, ripresa dalla BBC, Grandi ha affermato che piatti-simbolo come la carbonara sarebbero nati solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, sfruttando ingredienti dell’esercito americano come bacon e uova in polvere. Anche la pizza, oggi considerata un caposaldo della tradizione, sarebbe diventata davvero “italiana” solo dopo essere stata reinventata dagli emigrati negli Stati Uniti (Fonte).

Se è vero che la cucina è un fenomeno dinamico e in continua evoluzione, ridurre la gastronomia italiana a un’invenzione recente rischia di cancellare secoli di storia culinaria regionale. Piatti come la polenta, la farinata, la ribollita, i tortelli di zucca e la bagna cauda raccontano invece una narrazione diversa, fatta di tradizioni antiche, adattamenti e resilienza. Scopriamo le loro storie.

Polenta: il cibo dei poveri e dei potenti. Avendo radice bergamasco-valtellinesi, ricordo bene il piatto principale della domenica di nonna Elisa: “polenta e osei”, che mio padre amava. La polenta è uno dei piatti più antichi della tradizione italiana, ben prima dell’arrivo del mais dalle Americhe. Già in epoca romana si consumava una sorta di polenta fatta con farro e altri cereali. Con la diffusione del mais nel Cinquecento, soprattutto nel Nord Italia, la polenta divenne un alimento centrale nella dieta contadina, sostituendo il pane in molte aree povere. Tuttavia, proprio la dipendenza da questa fonte alimentare unilaterale causò gravi problemi di salute, come la pellagra, dovuta alla carenza di vitamina B3. Oggi la polenta è riscoperta in chiave gourmet, ma dietro la sua semplicità si cela una storia di lotta per la sopravvivenza.

Arrivato nel varesotto negli anni ’90 ho scoperto la “polenta e bruscitt”, un piatto simbolo della tradizione locale. I “bruscitt” sono piccoli pezzetti di carne bovina stufati lentamente con lardo, semi di finocchio e vino rosso, che vengono serviti con una porzione di polenta, meglio se fumante. Questa ricetta, nata nelle cascine della zona tra Varese e la Brianza, racconta di un tempo in cui ogni parte della carne veniva sfruttata al massimo e la polenta era la base essenziale dell’alimentazione.

Farinata: il Medioevo ligure in un piatto. Da milanese in fuga al fine settimana, penso a Levanto che rappresenta per me la Liguria e la farinata di ceci. Ha radici antichissime, risalenti all’epoca medievale, e racconta una storia di ingegno e necessità. Secondo la leggenda, nel 1284, durante una battaglia tra Genova e Pisa, una nave genovese trasportava sacchi di ceci. Durante lo scontro, alcuni sacchi si rovesciarono e si mischiarono con l’acqua salata del mare. I marinai, per non sprecare nulla, lasciarono asciugare l’impasto al sole, ottenendo così una sorta di focaccia croccante. Da questa casualità nacque una tradizione ancora oggi viva in Liguria, una regione simbolo dell’adattamento alle circostanze e alla natura.

Ribollita: la zuppa rinascimentale dei contadini. La Toscana da oltre 10 anni mi ospita d’estate. Ma non penso al mare, piuttosto all’entroterra e alle colline dove la ribollita è un simbolo della cucina povera e dell’arte del riutilizzo. Questa zuppa, a base di pane raffermo e verdure, si chiama così perché veniva cotta più volte per concentrare i sapori. Già nel Medioevo, i contadini raccoglievano gli avanzi dei banchetti nobiliari o clericali e li trasformavano in piatti sostanziosi. La ribollita è un altro esempio di come, in un’epoca in cui nulla poteva essere sprecato, la creatività culinaria abbia dato vita a ricette iconiche, tramandate fino a oggi.

Tortelli di zucca: dal Rinascimento a oggi. Negli anni recenti, per ragioni di lavoro, sono spesso nella regione del Po orientale, dove sono di casa i tortelli di zucca, che hanno una storia documentata sin dal Rinascimento. Già nel Quattrocento, alla corte dei Gonzaga a Mantova, si servivano ravioli farciti con zucca, amaretti e mostarda. La combinazione di dolce e salato riflette l’influenza della cucina nobile, che amava accostamenti sofisticati. Questo piatto è sopravvissuto nei secoli, diventando una specialità regionale emblematica dell’Emilia-Romagna e della Lombardia.

Bagna cauda: la convivialità piemontese in una salsa. Infine, pensando alle montagne amate del Nord ovest italiano, troviamo la bagna cauda. È più di una ricetta: è un rito sociale. Questa salsa calda a base di aglio, acciughe e olio d’oliva ha origini medievali e veniva consumata nei periodi di vendemmia per riscaldarsi nelle fredde serate autunnali. Importando le acciughe dalla Liguria, i contadini piemontesi hanno creato un piatto semplice ma ricco di sapore, che ancora oggi ristora nei rifugi dopo una lunga ascesa. Un piatto che richiama questa tradizione nel Varesotto è la “rustisciada”, una preparazione di carne di maiale saltata in padella con cipolle. Questa ricetta, diffusa soprattutto nelle famiglie del Varesotto, evidenzia come anche nella nostra zona la cultura della carne conservata e cucinata con pochi ingredienti sia un tratto distintivo della gastronomia locale.

La cucina italiana non è statica, ma ciò non significa che sia un’invenzione recente. L’evoluzione dei piatti è naturale, e spesso le ricette che oggi consideriamo “autentiche” sono il frutto di adattamenti e trasformazioni. Tuttavia, ridurre la cucina italiana a una costruzione post-bellica sarebbe un errore: esistono radici profonde, legami storici e tradizioni che hanno resistito nei secoli. La vera sfida non è difendere un’idea fissa di “autenticità”, ma riconoscere il valore della storia dietro ogni piatto, tra cambiamento e continuità. La cucina italiana esiste? Sì, e la sua storia è un’identità da riconoscere e far conoscere, in Italia e nel mondo.

“Il piacere è un diritto umano perché è fisiologico, non si può non provare piacere mangiando. Prova piacere chiunque si nutra con gli alimenti che ha disposizione, escogitando i modi migliori per renderli gradevoli”, Carlo Petrini.

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Pubblicato il 02 Marzo 2025
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