«La sostenibilità per salvare i negozi dai giganti della fast-fashion»
Grazia Cerini, del Centrocot di Busto Arsizio, ha spiegato come la filiera della moda sostenibile e di qualità può competere con i colossi dell'e-commerce
Shein produce 10.000 nuovi prodotti in un solo giorno. Gli bastano solamente dieci giorni per trasformare un nuovo design in un capo pronto a essere comparire sulla sua immensa vetrina digitale. Un colosso dell’e-commerce, simbolo della “fast-fashion”, che nel 2023 ha emesso 16,7 milioni tonnellate di CO2 (come 3,63 milioni di auto in un anno). Di fronte a numeri come questi, ci si chiede come sia possibile per le aziende e i negozi che producono e vendono abiti di qualità realizzati in modo sostenibile reggere la competizione?
Secondo Grazia Cerini, del Centrocot (Centro tessile cotoniero e abbigliamento) di Busto Arsizio, sono proprio i requisiti di qualità, sostenibilità ambientale, sociale e di sicurezza che le aziende europee devono rispettare, che potranno aiutare industria, artigiani e commercianti a crescere nonostante il successo delle grandi piattaforme dell’e-commerce. Il segreto è farli conoscere ai propri clienti e per riuscirci è necessario fare rete.
Acquisti online i preferiti, ma i clienti cercano abiti sostenibili
I dati del Centrocot mostrano che più della metà degli italiani preferisce acquistare online. La raccolta differenziata dei rifiuti tessili in Italia è al 18%, leggermente inferiore alla media europea del 22% (anche se la Lombardia è un’eccellenza nell’innovazione sostenibile del tessile). Inoltre, due italiani su tre non conoscono il concetto di moda circolare. C’è quindi ancora tanta strada da fare per la sostenibilità, ma alcuni dati dipingono una situazione più positiva.
Infatti, il 32% dei consumatori italiani sta pensando di investire in abbigliamento di maggiore qualità e più durevole. In Italia l’86% dei consumatori è solito riparare i propri capi invece di acquistarne subito di nuovi e ben il 72% dei consumatori europei afferma di preferire prodotti sostenibili.
«Ma a volte – spiega Cerini – i prezzi stracciati della fast fashion battono l’etica. Dobbiamo vendere un servizio, qualcosa di attrattivo. Solo questo ci porterà a essere vincenti. Bisogna proporre ai clienti prodotti sostenibili, di qualità, con una storia e offrire a chi acquista il prodotto la possibilità di conoscere la sua filiera e osservarne la progettazione».
«Le nostre aziende – aggiunge Cerini – sono già in grado di farlo. Il numero di imprese che rispettano i requisiti di sostenibilità è molto alto, eppure fanno fatica a raccontare il proprio impegno ai loro clienti. Il 64% degli europei si fida sulle indicazioni di sostenibilità del negoziante. Un dato positivo, che dimostra come i negozianti possano ricoprire un ruolo educativo per i propri clienti».
Filiera tracciabile e strumenti digitali per raccontare la sostenibilità
Per riuscire a far conoscere il percorso sostenibile che porta alla realizzazione degli abiti che trovano nei negozi, è fondamentale coinvolgere l’intera filiera. Esistono già realtà come Oeko-Tex: un ente internazionale che riunisce oltre 35.000 aziende con l’obiettivo di garantire la tracciabilità dei prodotti tessili e in pelle e sostenere pratiche sostenibili.
Un esempio che secondo Cerini si può replicare in un’ottica locale più legata al territorio. «Dobbiamo – sottolinea Cerini – cavalcare il valore della sostenibilità, enfatizzando in che modo ogni negozio si impegna per promuovere pratiche positive. Propongo una “vetrina della sostenibilità”: realizzare all’interno del proprio punto vendita qualcosa capace di raccontare una storia di valore, illustrare dati reali e verificabili magari grazie proprio ai produttori. Il commerciante può così trasferire il messaggio ai propri lettori e al mondo».
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