Quando alla diagnosi di autismo del figlio segue quella del genitore: l’esperienza di mamma Veronica

Frustrante e liberatoria, la diagnosi di autismo in età adulta è utile ad affrontare peculiarità altrimenti confuse - e curate - come sintomi di malessere piscologico

Generico 24 Feb 2025

«Quando è emozionato Martino sfarfalla, cioé agita tantissimo le braccia. È una delle sue caratteristiche. Da bambina lo facevo anch’io». Inizia così il racconto di Veronica Bocedi, mamma varesina cui è stato diagnosticato l’autismo in età adulta e solo dopo la diagnosi del figlio, Martino.

«Scoprirlo è stato allo stesso tempo frustrante e liberatorio – racconta – Liberatorio perché finalmente ho smesso di sentirmi sbagliata. Ho capito che semplicemente funziono in modo diverso dagli altri. Purtroppo allo stesso tempo so di non essere stata né capita né aiutata nel modo giusto da piccola. Un tempo le diagnosi di autismo erano rarissime, ma anche ora che ho una diagnosi, non c’è un percorso chiaro nel Servizio sanitario che mi guidi nel trovare le strategie giuste».

Mamma Veronica ha deciso di raccontare la sua storia sperando che possa essere d’aiuto ai “bambini difficili” di un tempo: «Una diagnosi di autismo in età adulta è comunque utile ad affrontare al meglio e con maggiore consapevolezza le proprie difficoltà», afferma.

OSSERVANDO MARTINO

«Martino è il mio primo figlio. Osservandolo mentre cresceva mi sono accorta che c’era qualcosa di troppo particolare – racconta Veronica – Già attorno all’anno sembrava spesso assente, evitava di incrociare lo sguardo, non si girava quando lo chiamavo e si fissava a lungo su giochi ripetitivi».

La diagnosi si autismo per Martino arriva prima dei due anni: «Ma il disturbo può evolvere in diverse direzioni nella primissima infanzia. Martino è stato subito seguito. Guardandolo crescere ho rivisto nelle sue peculiarità molti dei miei disagi di bambina e di adulta. Ad esempio Martino sfarfalla quando è emozionato o quando è ansioso. Oppure può cominciare a camminare in cerchio quando si trova in un ambiente caotico che lo mette a disagio. Esattamenete come succedeva a me! Un tempo si tendeva a bloccare queste attività. Oggi sappiamo che è sbagliato».

Alro elemento in comune a mamma e figlio è il forte disagio per il rumore: «Martino dovrebbe andare a scuola cuffie antirumore, proprio per evitare il forte fastidio che prova nei momenti di confusione, ad esempio all’entrata o all’uscita. Oppure entrare qualche minuto dopo e uscire un po’ prima. Io mi sentivo solo strana e sbagliata perché non riuscivo a condividere l’entusiasmo dei miei compagni in quei momenti. E poi la costante difficoltà ad interagire con gli altri, la sua e anche la mia. A scuola avevo solo un’amica e venivo presa in giro da tutti».

Visti tutti questi parallelismi tra madre e figlio, è stata l’educatrice che segue Martino a indirizzare mamma Veronica verso una diagnosi di autismo.

LA NUOVA DIAGNOSI, LA RABBIA E L’ACCETTAZIONE

Veronica si è rivolta a un centro specializzato privato di Milano: ha un autismo con un lieve ritardo, più grave di quello del figlio, Martino, che ha un autismo di tipo 1, cioè ad alto funzionamento.
«All’inizio mi sono arrabbiata. Ho pensato che se si fosse scoperto prima, per tempo, tutto sarebbe stato diverso – racconta Veronica – Mi sono sempre sentita sbagliata perchè a scuola facevo fatica ad apprendere e capire, non sono neanche riuscita a prendere la patente e anche sul lavoro ho sempre fatto fatica, lasciavo tutto a metà. Ora c’è più attenzione, più consapevolezza e, almeno per i bambini, ci sono percorsi volti all’inclusione scolastica. A volte non funzionano come vorremmo (QUI la disavventura di Martino a inizio prima elementare), ma ci sono. Anche se l’ho scoperto a 36 anni, finalmente so che funziono in maniera diversa e ho imparato ad accettarlo, per me come per mio figlio».

Dal momento della diagnosi di autismo tutto è cambiato per Veronica, ricordi e prospettive.
«Un giorno, avevo 14 anni e stavo saltando con mio fratello, quando mi sono sentita staccare dalla realtà. Mi sono spaventata tanto ma non ne ho parlato con nessuno, e da qual momento sono rimasta così. Lo chiamano derealizzazione o depersonalizzazione. È un sintomo dell’autismo, ora lo so, è un mio modo diverso di funzionare, ma per anni è stato mi è curato come sintomo di una patologia depressiva, che non è».

Da qui una serie di altre considerazioni e di prospettive che cambiano, perché i problemi non capiti, o non risolti, spesso ne generano altri. «A volte le difficoltà degli adulti autistici che non sanno di esserlo, vengono curate come sintomi di problemi psicologici, senza in realtà comprendere, né risolvere, il problema – spiega Veronica – A me è capitato!».

LA DIAGNOSI È IMPORTANTE, ANCHE DA ADULTI

«Scoprire di essere autistici da adulti significa dare un senso e un nome a una serie di peculiarità e comportamenti che altrimenti rischiano di essere fraintesi – spiega Veronica – Purtroppo i professionisti specializzati in autismo sugli adulti sono davvero pochi ma sono fondamentali per aiutare le persone a trovare stretegie di comportamento utili ad affrontare l’autismo. Purtroppo invece, in assenza di diagnosi, molti adulti seguono delle terapie che intervengono sui sintomi, senza però poter incidere sul problema. Anzi, rischiando di far peggio».

«Con mio marito Michele ho scelto di raccontare la mia storia nella speranza che possa essere utile ad altri che, come me, sono adulti autistici, cioé funzionano in modo diverso ma ancora non lo sanno. E quindi magari si sentono sbagliati o non riescono a risolvere le loro criticità. Se io avessi chiesto aiuto prima, sarebbe stato tutto più semplice», conclude Veronica.

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di
Pubblicato il 11 Marzo 2025
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