Giornali scritti in carcere e bastoni tra le ruote, lettera aperta al Ministero
Le parole di Ornella Favero, direttrice della rivista Ristretti Orizzonti e figura di riferimento nazionale nel campo della comunicazione dal e sul carcere

Una riflessione forte e dettagliata sul diritto all’informazione e alla libertà di espressione per le persone detenute arriva oggi attraverso le parole di Ornella Favero, direttrice della rivista Ristretti Orizzonti e figura di riferimento nazionale nel campo della comunicazione dal e sul carcere. La sua lettera aperta, pubblicata sull’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera, è indirizzata ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e solleva una serie di questioni concrete e urgenti che riguardano l’attività giornalistica realizzata dietro le sbarre. Favero denuncia ostacoli burocratici, censure preventive e lentezze procedurali che, di fatto, rischiano di vanificare l’impegno di decine di redazioni nate all’interno degli istituti penitenziari italiani. Di seguito il testo integrale:
Lettera aperta al Ministero
di Ornella Favero*
Questa è una lettera aperta al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Lina Di Domenico; al direttore della Direzione generale detenuti e trattamento, Ernesto Napolillo; al Direttore generale del personale, Massimo Parisi.
L’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, dando concreta applicazione all’art. 21 della Costituzione, così recita al comma 8: «Ogni detenuto ha diritto a una libera informazione e di esprimere le proprie opinioni, anche utilizzando gli strumenti di comunicazione disponibili e previsti dal regolamento». Ma le cose non sono così semplici, e questo diritto delle persone detenute ad esprimere le proprie opinioni è tutt’altro che rispettato.
In questi anni di vita dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione dalle carceri, noi che in numerose realtà lavoriamo da tempo ci siamo presi l’impegno di raccontarle con onestà, e non abbiamo mai taciuto le difficoltà, le critiche, i percorsi finiti male, le ricadute, le sconfitte. Abbiamo cercato con senso di responsabilità e professionalità di fornire una informazione attenta, precisa, documentata sulla realtà carceraria. Ma ci scontriamo ogni giorno con ostacoli e barriere che in vario modo condizionano pesantemente il nostro lavoro.
Chiediamo al Dap e al Ministero della Giustizia chiarimenti sui seguenti punti.
Se l’Ordinamento penitenziario riconosce alla persona detenuta il diritto ad esprimere le proprie opinioni, è ammissibile che sulle pagine dei giornali di alcune carceri quella persona non possa firmare, se lo desidera, i suoi articoli con nome e cognome visto che il suo diritto alla privacy è già assicurato dalla direzione del giornale?
Se la persona detenuta ha diritto a esprimere le proprie opinioni, ei giornali realizzati in carcere hanno un direttore responsabile che ne risponde anche penalmente, come si spiega che in alcuni istituti sia d’obbligo una «pre-lettura» degli articoli da parte delle direzioni dell’istituto e delle eventuali «istanze superiori»?
Se i volontari e gli operatori che assieme a tanti redattori detenuti si occupano di informazione e comunicazione dal carcere sono persone autorizzate in base all’art. 17 dell’Ordinamento penitenziario che consente l’ingresso in carcere a tutti coloro che «avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera», è possibile che queste stesse persone non siano considerate affidabili e responsabili di tutto il materiale informativo che i giornali e le altre realtà dell’informazione producono nelle carceri?
Si ricorda che la circolare del Dap del 2 novembre 2015 prevede espressamente la «possibilità di accesso a Internet da parte dei detenuti», riconosce che «l’utilizzo degli strumenti informatici da parte dei detenuti appare oggi un elemento indispensabile di crescita personale» e che «l’esclusione dalla conoscenza e dall’utilizzo delle tecnologie informatiche potrebbe costituire un ulteriore elemento di marginalizzazione per i ristretti». Queste parole così chiare e inequivocabili possono finalmente tradursi in concrete autorizzazioni ai nostri giornali e gruppi di lavoro a usare questi indispensabili strumenti tecnologici per dare valore e qualità alle nostre attività?
L’attività di redazione ha comunque necessità di tempi di risposta adeguati da parte dell’amministrazione penitenziaria. Articoli che parlano del caldo asfissiante nelle celle e vengono autorizzati alla pubblicazione a Natale, richieste di permessi di ingresso di ospiti significativi che arrivano a volte con lentezza esasperante, attese snervanti per introdurre materiali indispensabili per il nostro lavoro, sono tutte situazioni che oggettivamente finiscono per vanificare il lavoro delle nostre redazioni. Se l’attività giornalistica nei penitenziari è ritenuta una risorsa importante per il dialogo tra realtà detentiva e società esterna, perché le Istituzioni non semplificano le procedure e accorciano i tempi di tante estenuanti attese?
Giornali, podcast, trasmissioni radio-tv, laboratori di scrittura sono una ricchezza culturale che va salvaguardata e facilitata: per questo chiediamo che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ci riceve e affronta con noi i temi che abbiamo sottoposto alla sua attenzione.
*Direttrice Ristretti orizzonti, referente Coordinamento nazionale realtà dell’informazione dal e sul carcere
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