Il prolasso della valvola mitrale: come riconoscerlo e quando intervenire. Risponde il cardiochirurgo di Varese Cappabianca

È uno spostamento relativamente frequente nella popolazione generale, anche in età giovanile. Nella maggior parte dei casi è asintomatico, ma il quadro può evolvere nel tempo verso una condizione sintomatica

sala chirurgica professor beghi cardiochirurgia

Il chirurgo Giangiuseppe Cappabianca dirigente Medico presso la Cardiochirurgia dell’Ospedale Circolo di Varese, Asst Sette Laghi, nell’approfondimento 

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Il cardiochirurgo dell’ospedale di Circolo di Varese approfondisce una condizione piuttosto frequente, che interessa una delle valvole del cuore: il prolasso della valvola mitrale.

 Ma cosa significa esattamente “prolasso”?

In medicina, il termine indica lo spostamento anomalo di un organo o di una sua parte rispetto alla sua posizione naturale. In altre specialità, ad esempio, si parla di prolasso dell’utero, della vescica o dell’intestino. Nel caso della valvola mitrale, il prolasso consiste nello spostamento anomalo di uno o entrambi i lembi valvolari mitralici, che durante la contrazione del cuore (sistole) vengono spinti all’indietro dalla pressione verso l’atrio sinistro. Quando questo movimento compromette la normale chiusura della valvola mitrale, può generarsi un rigurgito di sangue verso i polmoni, una condizione nota come insufficienza mitralica.

Il prolasso mitralico è una condizione relativamente comune: si stima che interessi fino al 2-3% della popolazione generale, con circa 20-30 nuovi casi ogni 100.000 abitanti all’anno. È più frequente nei giovani adulti, soprattutto tra i 20 e i 40 anni, e presenta una maggiore incidenza nel sesso femminile. In alcuni casi, è presente una predisposizione familiare.

Cos’è la valvola mitrale?

La valvola mitrale è una delle quattro valvole cardiache, è situata nella parte sinistra del cuore tra l’atrio sinistro (che riceve sangue ossigenato dai polmoni) e il ventricolo sinistro, la camera di pompaggio che invia il sangue in tutto il corpo attraverso l’aorta. Questa valvola è composta da quattro elementi principali: l’anello valvolare, in parte composto da tessuto muscolare, che fa da base e sostiene due lembi valvolari, uno anteriore ed uno posteriore. Questi due lembi si aprono e chiudono a ogni battito, secondo un gioco di pressioni, garantendo che il sangue si sposti in un’unica direzione e non torni verso i polmoni. L’allineamento dei due lembi sul piano verticale è garantito da un sistema di corde tendinee, a loro volta ancorate a due muscoli papillari, piccole proiezioni del muscolo cardiaco all’interno del cuore. Questo sistema di corde e muscoli limita la corsa all’indietro dei due lembi valvolari durante la contrazione del cuore, permettendo così la chiusura della valvola.

La degenerazione che porta al prolasso

Con gli anni, in alcuni soggetti, il tessuto della valvola mitrale va incontro a un processo di degenerazione. I due lembi valvolari si ispessiscono, diventano più abbondanti e ridondanti, rendendo più difficile una chiusura perfetta.  Le corde tendinee si allungano e, nei casi più avanzati, possono anche rompersi. Questo fa sì che i due lembi non siano più allineati correttamente sul piano verticale. Allo stesso tempo, l’anello valvolare può dilatarsi, allontanando i lembi anche sul piano orizzontale.

Il risultato è che, durante la contrazione del cuore, la valvola non riesce più a chiudersi perfettamente, e una parte del sangue refluisce all’indietro nell’atrio sinistro invece di essere spinto nell’aorta. Questo fenomeno prende il nome di insufficienza mitralica e può essere lieve, moderata o severa in base alla quantità di sangue che torna indietro verso i polmoni.

Come l’insufficienza mitralica causa l’affanno

Quando il sangue refluisce nell’atrio sinistro e da lì nei polmoni, questi – simili a delle spugne – diventano progressivamente più bagnati e, di conseguenza, più pesanti. La respirazione è un processo attuato da muscoli della parete toracica,  come il diaframma ed i muscoli intercostali, che devono espandere e comprimere i polmoni a ogni respiro. Se i polmoni sono “appesantiti” dal sangue che ristagna, respirare diventa un lavoro muscolare più faticoso. Inoltre la presenza di acqua nei polmoni rende più difficile il passaggio di ossigeno dall’aria nel sangue, rendendo a parità di sforzo muscolare l’ossigenazione del sangue un processo ancora meno efficiente.

Progressivamente l’affaticamento muscolare e la ridotta ossigenazione del sangue portano ad una sensazione crescente di non riuscire a respirare bene, fare fatica e soprattutto alla sensazione di mancanza d’aria. Il tutto peggiora durante lo sforzo, perché aumentando l’attività cardiaca, aumenta anche il rigurgito e quindi la quantità di acqua nei polmoni.

I sintomi: quando sospettare un prolasso valvolare mitralico

Nelle fasi iniziali, il prolasso della valvola mitrale può essere del tutto asintomatico e scoperto casualmente durante una visita cardiologica, spesso grazie all’auscultazione di un “soffio al cuore”.

Tuttavia, quando l’insufficienza mitralica diventa significativa, possono comparire diversi sintomi:

  • Dispnea da sforzo: l’affanno durante l’attività fisica è spesso il primo campanello d’allarme. Col tempo, può peggiorare fino a manifestarsi anche con sforzi minimi o addirittura a riposo.
  • Palpitazioni: l’aumento della pressione nell’atrio sinistro (la camera subito sopra la mitrale) ne provoca la dilatazione, facilitando l’insorgenza di aritmie come extrasistoli o fibrillazione atriale. Il paziente può avvertire battiti irregolari, veloci o fuori tempo.
  • Edemi declivi: ovvero le classiche gambe gonfie, segno che il ristagno di liquidi non si limita più ai polmoni, ma coinvolge anche i tessuti periferici, in particolare quelli della parte bassa del corpo.
  • Nei casi acuti, come ad esempio una rottura improvvisa di una corda tendinea, può verificarsi un quadro di edema polmonare acuto, un improvviso ingorgo di acqua nei polmoni, con un’insufficienza respiratoria acuta e necessità di ricovero urgente.

La diagnosi di prolasso della mitrale

Il cardiologo è la figura principale nella diagnosi di prolasso della valvola mitrale. Una volta raccolti la storia clinica ed i sintomi, con l’auscultazione è possibile avere un sospetto clinico che viene poi confermato dall’ecocardiogramma trans-toracico,  un esame non invasivo e basato su ultrasuoni, che permette di visualizzare la valvola e di confermare la presenza del rigurgito mitralico.

Quando l’ecocardiogramma trans-toracico evidenzia  un’insufficienza mitralica severa e si valuta la possibilità di un intervento chirurgico, si ricorre a un esame di secondo livello: l’ecocardiogramma trans-esofageo. Questo test, simile a una gastroscopia, prevede l’introduzione di una piccola sonda nell’esofago, in posizione ravvicinata al cuore, per ottenere immagini ad altissima risoluzione.

Grazie a questa tecnica, è possibile analizzare in dettaglio tutte  le componenti della valvola mitrale: l’anello, i lembi, le corde tendinee e i muscoli papillari. Questo consente di comprendere il meccanismo dell’insufficienza e pianificare nel modo più preciso possibile l’intervento di riparazione valvolare.

Quando intervenire?

La decisione di intervenire chirurgicamente in caso di prolasso della valvola mitrale dipende da diversi fattori: la presenza di sintomi, il grado di insufficienza mitralica (lieve, moderata o severa) e l’eventuale compromissione della funzione contrattile del cuore.

Le principali indicazioni all’intervento sono:

  • Insufficienza mitralica severa con sintomi come affanno, palpitazioni o edemi;
  • Insufficienza mitralica severa senza sintomi, ma con segni ecocardiografici di dilatazione del ventricolo sinistro o riduzione della sua funzione contrattile;

L’intervento può inoltre essere proposto in presenza di un’insufficienza mitralica severa senza sintomi e senza compromissione della funzione contrattile del cuore, in pazienti giovani ed a basso rischio chirurgico, ed al alta probabilità di riparazione mitralica, per evitare il peggioramento anche iniziale della funzione cardiaca.

In tutti i casi meno gravi – ad esempio insufficienza mitralica lieve o moderata, senza sintomi e senza compromissione della funzione cardiaca – il trattamento consiste in una ottimizzazione della terapia medica, con farmaci diuretici per ridurre la quantità di acqua nei polmoni e farmaci che dilatano le arterie per ridurre lo sforzo del cuore e quindi l’entità rigurgito mitralico. Moltissimi prolassi mitralici restano stabili per anni con la terapia farmacologica e non necessitano di un intervento.  Sono tuttavia importanti controlli clinici ed ecocardiografici periodici, per identificare il momento preciso in cui diventa necessario intervenire.

Come intervenire: riparazione della valvola e tecniche mini-invasive

Durante l’intervento chirurgico per il prolasso della mitrale, l’obiettivo principale del cardiochirurgo è correggere il rigurgito di sangue verso i polmoni. Questo può essere ottenuto in due modi: riparando la valvola mitrale, oppure sostituendola con una protesi valvolare.

La riparazione della valvola mitrale

La riparazione è la soluzione preferita, quando tecnicamente possibile, perché mantiene l’anatomia originale del cuore, offre risultati duraturi e generalmente non necessita di terapia anticoagulante se non nei primi tre mesi dopo l’intervento.

La riparazione prevede l’impianto di un anello protesico: un dispositivo formato da un’anima metallica rivestita di materiale tessile, che viene suturato sull’anello valvolare del paziente. Questo consente di rimodellare la valvola, riavvicinando i due lembi sul piano orizzontale.

In aggiunta, il cardiochirurgo può eseguire una o più delle seguenti manovre, a seconda delle condizioni della valvola:

  • Inserimento di corde tendinee artificiali in Gore-Tex, per sostituire quelle allungate o rotte e riallineare i lembi sul piano verticale.
  • Resezione dei segmenti ridondanti dei lembi che impediscono una corretta chiusura.
  • Tecnica “edge-to-edge”, che consiste nell’applicare un punto di sutura centrale che unisce i lembi tra loro, creando due piccoli orifizi valvolari, riducendo così il rigurgito mitralico.

Sostituzione della valvola mitrale

Nei casi in cui la mitrale è ormai troppo danneggiata per essere riparata, si procede con la sostituzione con una protesi valvolare, analogamente a quanto avviene per la valvola aortica. (la stenosi aortica).

Le protesi valvolari cardiache si dividono in due grandi categorie:

  • Protesi biologiche, realizzate in tessuto animale (bovino o suino). Non richiedono anticoagulanti a lungo termine, ma hanno una durata limitata (circa 10-15 anni), dopo la quale è necessario un nuovo intervento.
  • Protesi meccaniche, realizzate in leghe metalliche, con una durata teoricamente illimitata, ma che richiedono una terapia anticoagulante a vita con coumadin e controlli ogni 2-3 settimane dei livelli di anticoagulazione.

La scelta tra i due tipi di protesi viene sempre discussa anticipatamente con il paziente, anche quando si prevede con buona probabilità una riparazione, poiché la decisione finale sulla riparabilità della valvola è intraoperatoria.

Fattori determinanti nella scelta tra i due tipi di protesi valvolari sono:

  • Età: generalmente sotto i 65 anni si consigliano le protesi meccaniche, per non incorrere in numerosi interventi nel corso della vita se si utilizzano le protesi biologiche.
  • Stile di vita e lavoro (ad esempio desiderio di gravidanza, viaggi frequenti e difficoltà di poter controllare l’anticoagulazione con regolarità)
  • Rischi legati all’anticoagulazione, in caso di patologie predisponenti al sanguinamento (ulcera gastrica, patologie ematologiche, patologie cerebrali)

L’intervento sulla mitrale viene eseguito in anestesia generale e con l’ausilio della circolazione extracorporea.  Tuttavia, l’intervento può essere effettuato mediante due tipi differenti di incisione chirurgica: dividendo lo sterno  (sternotomia) oppure in determinati pazienti, tramite una mini-toracotomia destra.

In questa tecnica chirurgica mini-invasiva, la riparazione mitralica viene effettuata mediante una piccola incisione (3-4 cm) al lato del capezzolo destro e consente un recupero post-operatorio più rapido, un minor impatto funzionale sulla meccanica respiratoria ed un migliore risultato estetico. La riparazione della mitrale in mini-toracotomia è un gesto tecnicamente più complesso e può essere effettuata quando l’anatomia del paziente è favorevole, cosa che viene valutata clinicamente e  mediante una TAC del torace pre-operatoria.

La clip mitralica: una risorsa preziosa nei pazienti inoperabili

Negli ultimi anni, per i pazienti anziani o con patologie gravi che controindicano la chirurgia tradizionale, è disponibile una soluzione che non necessita l’apertura del torace: una clip mitralica. Si tratta di una piccola “molletta” metallica rivestita di materiale tessile,  che viene introdotta nel cuore attraverso un catetere inserito da una vena periferica (solitamente femorale). Una volta raggiunta la valvola mitrale, la clip viene posizionata al centro dei due lembi e chiudendosi li unisce, riducendo così il rigurgito valvolare. Il principio è simile a quello della tecnica chirurgica “edge-to-edge”. La procedura si svolge in anestesia generale, ma senza bisogno della circolazione extracorporea né di incisioni chirurgiche sul torace. Questo riduce notevolmente i rischi operatori nei pazienti particolarmente fragili.

La decisione di procedere con la clip mitralica viene presa durante una valutazione ambulatoriale multi-disciplinare chiamata Heart Team, che coinvolge il cardiologo ecocardiografista (esperto di imaging), il cardiologo interventista (che puo’ effettuare la procedura di clip mitralica), il cardiochirurgo ed il cardioanestesista, valutando il rischio di un intervento chirurgico tradizionale e la fattibilità anatomica della procedura trans-catetere.

Conclusioni

Il prolasso della valvola mitrale è una valvulopatia relativamente frequente nella popolazione generale, anche in età giovanile. Nella maggior parte dei casi è asintomatico, ma il quadro può evolvere nel tempo verso una condizione sintomatica e, se trascurato, avere un impatto significativo non solo sulla funzione cardiaca ma anche sulla qualità e aspettativa di vita.

Per questo motivo, la diagnosi precoce e il monitoraggio regolare sono fondamentali: permettono di individuare il momento migliore per intervenire, curare i sintomi, preservare la funzione del cuore e soprattutto di ottimizzare le possibilità di una riparazione valvolare.

Come sempre, il percorso diagnostico e terapeutico va personalizzato ed effettuato da un’équipe multidisciplinare perché ogni cuore ha una storia diversa e merita una cura su misura.

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