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Sovranità europea, crisi industriali e soldi pubblici: chi paga davvero le scelte strategiche dell’Europa e dell’Italia?

bandiera europea europa bruxelles

Cazzago Brabbia. Giorgetti: «Il riarmo non sia a scapito della sanità e dei servizi pubblici». La domanda è legittima: chi paga davvero le grandi scelte europee? E cosa succede quando la fabbrica sotto casa rischia di chiudere?

Nel pieno del dibattito europeo sul riarmo e sulla difesa comune, il nostro Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che da Cazzago Brabbia è salito fino al centro nevralgico dei conti pubblici europei, ha detto con lucidità: «Il finanziamento della difesa non potrà andare a scapito della sanità e dei servizi pubblici» (Il Sole 24 Ore). Un messaggio chiaro, che ci ricorda che ogni euro ha un destino. E che il bilancio pubblico non è una coperta elastica.

Difesa europea: chi spende, e perché. Il Parlamento tedesco ha approvato un investimento da oltre 100 miliardi di euro per riarmare il proprio esercito. Scelta nazionale, con debito sovrano. Obiettivo: raggiungere il 2% del PIL in spesa militare, come chiede la NATO. E allo stesso tempo una mossa per rilanciare la propria economia manifatturiera in profonda crisi, a partire dal settore dell’auto e indotto. L’Unione Europea? Per ora non ha una difesa comune. Ma si discute della creazione di un fondo europeo per la difesa, con debito condiviso, acquisti congiunti, rafforzamento dell’industria continentale. Come per il Recovery Fund. Ma la domanda resta: chi paga? Con quali soldi?

Come funziona il bilancio europeo. L’UE ha un proprio bilancio, ma molto più piccolo di quello degli Stati membri. Le entrate provengono da contributi degli Stati membri, proporzionali al PIL; dazi e risorse proprie (come le future tasse in tema di riciclo); debito comune (solo in casi eccezionali, come il Next Generation EU). Per dare un’idea, il bilancio pluriennale dell’UE, distribuito su sette anni, è di dimensioni simili al bilancio annuale dello Stato italiano, evidenziando le limitate risorse a disposizione dell’Unione per affrontare sfide comuni. Con questi fondi si finanziano politiche comuni: ecologica, innovazione, trasporti, coesione sociale. L’Europa può aiutare. Ma solo se sappiamo presentare buoni progetti e rispettare i vincoli, per costruire valore condiviso.

Il ponte sullo Stretto: un caso emblematico. Il ponte sullo Stretto di Messina è un’infrastruttura nazionale, ma anche europea. È inserita nei corridoi TEN-T, la rete strategica dei trasporti europei. Per questo motivo può ricevere finanziamenti europei, ma deve rispettare vincoli UE (ambiente, trasparenza, sostenibilità). Un’opera nazionale può diventare europea, se porta benefici per tutti. Ma con questo arrivano anche obblighi e controlli.

E a Varese? L’Europa si vede e si tocca. In provincia di Varese, i fondi europei sono ovunque. Qualche esempio. PNRR: oltre 2.500 progetti attivi, per 1,1 miliardi di euro, di cui 843 milioni da fondi europei. Dalle scuole agli ospedali, dalle piste ciclabili all’efficientamento energetico. Incentivi all’innovazione e ai brevetti con contributi a fondo perduto fino al 90% per le PMI locali. Nel settore della cultura e spettacoli ci sono i bandi attivi per musei, biblioteche e iniziative culturali. Infine, c’è il microcredito, cioè finanziamenti agevolati a tasso zero per chi avvia un’attività. L’Europa è concreta, quando c’è progettualità e capacità di attuazione.

Caso Beko: tappeti turchi e soldi italiani. Questa settimana è stata cruciale, e parliamo di soldi pubblici, in parte, per la vertenza Beko, che ha raggiunto un punto di svolta. Dopo settimane di tensione, l’88% dei lavoratori ha approvato l’intesa tra sindacati e azienda. I licenziamenti passano da oltre 1.900 a circa 937, con 287 esuberi a Siena. Nessuna chiusura per Cassinetta né per Comunanza. Saranno usati ammortizzatori sociali conservativi e uscite volontarie incentivate. A Siena si prevede una reindustrializzazione con l’intervento di Invitalia. Gli investimenti annunciati ammontano a 300 milioni di euro entro il 2027. Ma serviranno soldi pubblici, anche qui. I turchi, proverbiali venditori di tappeti, forse cercavano proprio questo: ottenere incentivi dopo aver messo sul piatto un numero di esuberi drammatico.

Chi paga, chi decide, chi controlla? Ecco la sintesi. La logica europea è chiara. Gli Stati propongono progetti, l’Europa li finanzia, se rispondono a obiettivi comuni, e i cittadini pagano, beneficiano, controllano. Quando si emette debito comune, tutti gli Stati garantiscono insieme. Questo implica responsabilità reciproca e una visione condivisa. Serve competenza. Serve consapevolezza.

Nessuno può restare a guardare. Viviamo tempi di transizione. Le guerre tornano in Europa e intorno all’Europa. Si chiede di riarmarsi, si taglia sulle scuole. Le fabbriche licenziano e poi negoziano. I soldi pubblici non bastano mai. Oggi i nostri figli visitano Auschwitz durante le gite scolastiche e si chiedono: «Dove erano tutti quando questo accadeva?». Domani, i figli dei nostri figli si chiederanno: «Dove erano quando questo accadeva a Gaza?». La risposta non può essere: «Stavamo a guardare». Non possiamo essere spettatori. Né a Bruxelles, né a Cassinetta. Serve un nuovo patto civile, culturale e spirituale. Studiare, lavorare e amare di più. E meglio. Anche pregare, per chi ci crede, perché siamo in Quaresima, ma anche fuori stagione o fuori dal coro. Dentro le associazioni, le fabbriche, gli uffici, i Comuni, sui social, nelle famiglie: nessuno deve stare a guardare.

«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!»,
Dante Alighieri.

di
Pubblicato il 16 Aprile 2025
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