Il viaggio di Gussoni in Kosovo, seconda parte

L'arrivo a Osojane con il carico di materiale donato ai bambini delle scuole. Missione compiuta ma gli occhi registrano ancora una volta tensioni interetniche in un paese che non ha ancora trovato la vera pace

Pubblichiamo la seconda parte del viaggio di Stefano Gussoni di Comunità Giovanile in Kosovo per consegnare le donazioni raccolte insieme all’associazione l’Uomo Libero di Trento alle minoranze serbe che ancora vivono in quel fazzoletto di terra tra l’Albania e la Serbia. Nella prima puntata Gussoni aveva raccontato le difficoltà nel passaggio della frontiera.

16 Aprile. Ci alziamo di buon mattino in attesa di un nuovo contatto con l’Ambasciata Italiana.
Alle 8:00 puntuali giungono i funzionari del Ministero di Belgrado che, secondo programma, hanno il compito di accompagnarci a visitare il cuore dell’identità cristiana e culturale serba: Pec. Qui infatti ha sede il Patriarcato della Chiesa autocefala serba. Aspettiamo un po’ ma alla fine ci dividiamo: io e Fabio rimaniamo a presidio del carico, Massimiliano, Gianluca, Eligio e Stefano B. invece si avviano verso il giro programmato.

Alle 9:00 ci contattano i funzionari italiani, da Pristina, per capire come risolvere il problema doganale … tra l’altro continuano a riferirsi a Fabio come “Padre”, mah … Ora che abbiamo, pensiamo ironicamente, anche la protezione della Santa Sede i problemi dovrebbero risolversi più velocemente. Durante l’attesa, tra una telefonata e l’altra, abbiamo modo di confrontarci con una troupe televisiva italiana della Rai che a Mitrovica sta girando un film/documentario sulle divisioni moderne. Hanno incontrato tante persone, albanesi e serbi di Mitrovica separati dal fiume Ibar, dove proprio il ponte che unisce la parte nord con la parte sud rappresenta in realtà il muro divisorio, sorvegliato ventiquattro ore al giorno dalle truppe della KFOR. Nello spazio di poche centinaia di metri ci sono due mondi totalmente separati che non hanno alcuna intenzione di comunicare, dai più giovani ai più anziani.
L’Ambasciata Italiana nel frattempo si dimostra estremamente disponibile e ci da appuntamento a mezzogiorno alla dogana di Mitrovica sud. Si presentano in tre: due funzionari e un poliziotto italiano in forza a Eulex. Grazie al loro intervento, presentandosi con una lettera firmata direttamente dall’Ambasciatore, in un’ora e mezza siamo liberi di circolare con il nostro carico. Riteniamo che il via libera sia sopraggiunto più per la necessità delle autorità locali di non creare problemi con le rappresentanze estere che per l’idoneità burocratica richiestaci il giorno prima. Io e Fabio ci rechiamo a Pristina dove incontriamo l’Ambasciatore Giffoni che ringraziamo e che torneremo di certo a trovare.

L’altro gruppo è nel frattempo arrivato a Pec. Li accompagna Saìa, carissima persona già incontrata a Capodanno e un funzionario. Prima del ponte l’autista scende per cambiare la targa del veicolo ed evitare problemi nella parte albanese. In ingresso nella parte sud della città il paesaggio cambia profondamente; la cosa che balza agli occhi è la moltitudine di bandiere albanesi e statunitensi che sventolano ovunque. Il percorso per il monastero di Pec è una strada di campagna malridotta che attraversa diversi villaggi: le verdi colline che incontrano sono disseminate di monumenti dell’UCK e spazzatura buttata nei prati e lungo la strada, due fattori che ingrigiscono la natura circostante.

Dopo un paio d’ore di viaggio giungono all’antico monastero femminile di Pec, circondato da alte mura con filo spinato e difeso da un piccolo contingente della Kfor. Nel vasto cortile interno un secolare gelso si contorce in direzione della storica chiesa, sede del patriarcato serbo. Lasciato Pec, si recano a Decani. È difficile esprimere a parole ciò che suscita questo luogo, all’interno delle robuste mura in pietra si espande un verde prato delimitato da un piccolo torrente artificiale che circonda la chiesa. Per un italiano o per lo meno per un cristiano occidentale la chiesa appare molto famigliare, l’architetto era infatti un monaco francescano. Qui vengono accolti da un umile monaco che racconta la storia del monastero e mostra i bellissimi affreschi che decorano l’interno della chiesa. Negli ultimi anni il monastero ha subito ventisette attacchi, spesso con lanciagranate… nonostante la continua situazione di pericolo i monaci riescono a trasmettere una serenità quasi irreale. Entrambi i monasteri sono di una bellezza indescrivibile. Varrebbe la pena di recarsi in Kosovo solo per visitarli.

Per quanto tempo ancora, pensiamo, rimarranno in piedi?

La sera il gruppo si ricongiunge. L’indomani ci aspetta la visita all’ospedale di Silovo e la consegna di parte del carico che così faticosamente abbiamo sdoganato.

17 Aprile. La domenica ci raggiungono in albergo la dott.ssa Jelica, responsabile sanitaria per i serbi del settore sud-est del Kosovo, insieme a sua nipote che per tutta la giornata si occuperà di tradurci in inglese le parole della zia. Ci mettiamo in macchina e partiamo verso sud, destinazione l’enclave di Silovo. Lungo la strada, prima di arrivare a Pristina abbiamo modo di approfondire la storia di queste terre: visitiamo la tomba di Murad I, sultano ottomano caduto nella guerra della Piana dei Merli del 1389, e poi lì, a poche centinaia di metri la famosa torre di Gazimestan, che domina il campo della battaglia. Questa terra è storia in quanto tale, siamo sui campi che hanno fatto l’Europa, o almeno una parte di essa. Pristina la sfioriamo appena. Terza tappa il Monastero di Gracanica; siamo fortunati, è in corso la celebrazione domenicale, la domenica delle palme: poter osservare da vicino la ritualità ortodossa è un’occasione imperdibile.

Verso mezzogiorno arriviamo all’ospedale già visitato durante la spedizione di capodanno. La situazione che troviamo è uguale a quella trovata a dicembre. Lo sconforto che proviamo nel vedere i presidi medici ivi presenti è un grido di dolore che ci riporta violentemente al motivo della nostra missione: accendere la speranza per chi la speranza la perde giorno dopo giorno, quando non riesce ad assistere i propri figli come vorrebbe, quando non vede un futuro per se e per la propria famiglia. Consegniamo i pacchi di medicinali pazientemente raccolti da Gaia e Daniela della Comunità Giovanile. Sono tanti gli amici che si stanno stringendo intorno a noi, oltre alle nostre realtà associative, questo segno è assolutamente positivo e portiamo con noi, in quei luoghi e in quei momenti i tanti amici che dedicano il loro tempo per il progetto. Fatto il punto della situazione con la dott.ssa ci rechiamo a visitare gli altri ambulatori della regione e una scuola con grossi problemi strutturali; infine ci troviamo in un improbabile ristorante dove ci servono le prelibatezze della regione. L’amicizia fraterna che sta nascendo con queste persone è uno dei segni più belli. Non li abbandoneremo tanto facilmente.

Al rientro a Mitrovica ci attendono Kruna e Sladjana, domani saremo insieme per consegnare il materiale alla scuola di Osojane.

18 Aprile. Di buon mattino io e Eustacchio partiamo alla volta di Gracanica dove recupereremo un amico serbo che parla molto bene l’italiano. Insieme andremo poi a Osojane dove ci attende la consegna del materiale alla scuola.

Per fare questo attraversiamo il ponte sul fiume Ibar e come se non bastassero i contrattempi doganali già incontrati, sul ponte ci fermano. Non basta mostrare le carte del terminal doganale, non basta mostrare i documenti dell’Ambasciata Italiana: il poliziotto albanese, vista la destinazione del materiale, trattiene a sé, obbligandomi a seguirlo, nell’ordine: passaporto, patente e libretto del veicolo. Dobbiamo nuovamente recarci al terminal doganale per chiarire i motivi del carico. Diligentemente facciamo come ci dicono. Al terminal, dopo una quarantina di minuti persi senza capire la natura dei problemi, mostro il nome del poliziotto di Eulex che ci aveva aiutati sabato: visto quello, le scuse si sprecano come se avessero avuto davanti il Presidente della Repubblica. Ma la cosa ancor più incredibile è che la medesima sorte capita ad uno sgangherato camioncino che procedeva innanzi a noi, guidato da un serbo. Il suo però, era effettivamente un pericolosissimo carico: dodici bottiglie di Coca-Cola e ventiquattro uova; lo lasciamo che sosta ancora al terminal… come si fa a vivere così ogni giorno?

Con più di un’ora di ritardo giungiamo a Osojane e scarichiamo i computer, le colombe, i giocattoli e il materiale di cancelleria. I bambini sono eccitati nel ricevere questi doni, per noi così semplici, per loro una possibilità di educazione non indifferente: i loro sorrisi sono bellissimi e tutti fanno massa vicino agli scatoloni. È difficile muoversi! Con Kruna è presente anche una troupe televisiva che insiste nell’intervistare me e Fabio: il risultato finale non lo conosciamo ma essere intervistati dalla tivù serba è una chicca che veramente ci mancava. Dopo le ritualità del caso ci portano a visitare alcune case che stanno proprio sul limitare del territorio dell’enclave: qui, se possibile, la situazione è ancora più disperata. Persone umili nell’abbigliamento ma con una dignità incredibile negli occhi ci testimoniano la fatica a vivere in quelle zone oggetto di continue discriminazioni da parte di non meglio precisati gruppi albanesi il cui unico scopo è chiarissimo: cacciarli via da quelle terre. Le loro terre.

Il pranzo che ci viene offerto è un’ulteriore occasione per suggellare la trovata amicizia. Successivamente riprendiamo la strada verso la Serbia, Belgrado la destinazione da cui poi poter ripartire verso casa l’indomani. Durante il tragitto abbiamo occasione, come se ci mancasse, di fermarci per l’ennesima volta al terminal doganale di Mitrovica Sud. Il problema che cerchiamo di risolvere è legata ai generatori: spediti una settimana prima, destinati alla Scuola e all’Ospedale, sono bloccati da cinque giorni dalle autorità doganali. Ci viene richiesto il pagamento dei costi di deposito: altri seicento euro affinché il carico possa essere recapitato al destinatario (diventeranno successivamente novecento…).

Potevamo forse lasciare il Kosovo senza fare i conti con la “burocrazia” locale? Certo che no…
Che sia un paese ad alto tasso di legalità ci sembra difficile poterlo testimoniare…

Riprendiamo il cammino verso Belgrado, sulla strada in territorio serbo, ci fermiamo in un locale caratteristico dove poter far sosta e sgranocchiare qualcosa: per la prima volta, come “italienski” ci sentiamo chiamare con l’appellativo, ancor prima di pizza, mandolino, mafia, di “Aviano” (la base dalla quale partivano i caccia che bombardarono la Serbia nel ‘99). Trecento bombe in tre giorni, ci dicono, sono cadute in quei giorni in questo piccolo villaggio. I segni morali di quella violenza incomprensibile sono ben vive nella memoria di queste persone.

A ora tarda siamo a Belgrado, l’ultima sera di una spedizione carica di significati. Persone stupende ci hanno accompagnato: Massimiliano, Gianluca, Eustacchio e Stefano. Uomini che al ritorno in Italia testimonieranno ciò che i loro occhi hanno visto, le loro orecchie sentito, i loro cuori hanno provato. Un’emozione strana viene condivisa da tutti. Un’emozione che va oltre il giusto e l’ingiusto, che va oltre ai gridi di vergogna che naturalmente le nostre bocche vorrebbero emettere… Un’emozione, una sensazione un cuore che palpita affermando: non ci interessa qui capire dove stia il torto e il giusto, ci interessa solo che i bisogni incontrati trovino in noi una possibilità di aiuto, le persone possano vedere in noi un segno di speranza. Non sappiamo ora se saremo all’altezza di questo nostro desiderio. Sappiamo però che siamo noi a ricevere una crescita inaspettata, noi stessi a essere grati delle persone incontrate. E sentiamo infine un’Europa, che pur nell’infinitesimale delle nostre piccole cose, cammina sulle nostre gambe.

Grazie Kosovo, grazie Serbia.

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Pubblicato il 26 Aprile 2011
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