Cinghiale mio, quanto mi costi
Danni per quasi 60 mila euro ad aziende agricole della provincia nel 2010: oltre 1.000 i capi abbattuti. Specchiarelli: «Punteremo anche sui recinti per prevenire il fenomeno»
«Chi dice che il cinghiale è animale stupido, non ha mai visto un campo di mais attaccato da un branco: il cinghiale entra, mangia la base del fusto della pianta che cade, e così lui si divora le pannocchie». Risultato: danni per quasi 60 mila euro in provincia (solo per i cinghiali: infatti nel 2010 l’ammontare dei danni per selvatici era di quasi 100 mila euro in totale), che hanno costretto l’assessore provinciale alla gestione faunistica Bruno Specchiarelli a chiedere una mano ai cacciatori: 954 i capi abbattuti dalle squadre, che si sommano a quelli raggiunti con caccia selettiva e ai 25 che hanno trovato la morte contro le auto, in tutto 1040.
È questo il bilancio della “caccia collettiva” al cinghiale in provincia di Varese, illustrata questa mattina, 23 marzo a Villa Recalcati. Un risultato proficuo, ha spiegato l’assessore, perché consente non solo di limitare i danni alle colture ma anche di verificare lo stato di salute della specie.
Sul primo fronte, vi sono realtà economiche soprattutto nella zona della Valcuvia e del Luinese, dove le incursioni dei cinghiali «sono arrivate a provocare, solo in due aziende che producono frutti di bosco, danni per 20 mila euro». I danni patiti dalle aziende agricole vengono rimborsati con una franchigia base di 50 euro, e sono rilevati, dopo una denuncia, da tecnici del nucleo faunistico della provincia di Varese; si apre poi un’istruttoria e a fine anno il caso di ciascun agricoltore viene trattato da un’apposita commissione che, se lo ritiene opportuno, liquida il danno.
«Ma l’anno scorso (2010) siamo riusciti a pagare solo il 65% dei danni da selvatici – spiega Specchiarelli. Cinquantamila ce li ha messi la Provincia, 15 mila i cacciatori, di tasca loro. Ma le risorse sono limitate, e a bilancio quest’anno ci sono solo 28 mila euro per danni causati dalla fauna». Che fare allora? «Per limitare i danni intendiamo puntare sui recinti, che solitamente vengono realizzati dagli stessi cacciatori – spiega Specchiarelli. Pensiamo che un utilizzo corretto dei recinti attorno alle colture dimezzerebbe l’importo dei danni prodotti da questi animali. Poi continueremo con gli abbattimenti». Recinti che, beninteso, serviranno anche per altri animali che danneggiano le colture, come cervi, daini e mufloni, per la maggiore, a cui si aggiungono anche le “mini lepri” specialmente nel sud della provincia.
Poi viene la scienza. Un aspetto non trascurabile: l’analisi sui capi abbattuti permette di capire a quanto ammonteranno numericamente le generazioni future (oggi la popolazione di questi animali si aggira attorno ai 2.000 capi): a seconda delle annate possono esserci una o due cucciolate e quindi aumentare oltre misura. Per sapere lo stato di salute degli animali viene infatti analizzata e fotografata la mandibola per verificare l’età e quindi capire, sul totale, quanti soggetti giovani ci sono. L’altro aspetto è legato ovviamente anche al monitoraggio dello stato di salute degli animali a scopo di prevenzione di epidemie. A questo titolo sono attivi macelli come quello pubblico di Luino e quello, privato, di Besano, che ha concorso alla macellazione – e al controllo – di circa 300 capi.
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