“Per anni ho avuto paura dei botti e dei fuochi d’artificio. Ma sono ancora convinto che fossimo nel giusto”
Il racconto di Alessandro Madron, di Castiglione Olona, ora giornalista del Fatto Quotidiano che a Genova è stato dal concerto di Manu Chao del 18 alle violenze del corteo del 21
A Genova c’ero stato tante volte. Nel 2001 avevo 22 anni.
Ci sono andato in macchina, eravamo in 4. Abbiamo messo la tenda allo Stadio Carlini, abbiamo visto il concerto di Manu Chao il 18 e poi il 19 abbiamo partecipato alla manifestazione con i migranti. Eravamo tranquilli.
Era strano vedere Genova blindata, la fotografavo. L’ostilità l’ho percepita per la prima volta al settimo scatto: un carabiniere si stacca dal suo plotone e mi dice che non posso fare foto. Parte una contrattazione verbale e alla fine mi tira fuori il rullino senza darmi né nome né numero di matricola. Mi sembrava folle. Rispetto a quel che è successo nelle 48 ore dopo è stata un’inezia ma è emblematico del clima della vigilia.
Non era la mia prima manifestazione. Ero un’attivista attento e non mi ero mai trovato in un clima simile. Non me lo aspettavo.
Il giorno dopo, alla mattina dal 20 siamo partiti gioiosi dal Carlini, quasi goliardici. Alcuni avevano scudi di gomma piuma per coreografia e invece in via Tolemaide è successo il finimondo. Ricordo l’angoscia. I fumogeni che arrivavano da dietro, da davanti, dai tetti. Ci è piovuto addosso di tutto, anche per aiutarci, acqua e limone per pulire gli occhi, gente che scappava da tutte le parti e i portoni che si aprivano per offrirci rifugio. Il panico: una sensazione orribile. Lontano dalla calca ho incrociato 5 poliziotti senza casco, si stavano riposando. Non sapevo se passargli davanti o tornare indietro. Ci ho messo anni a togliermi di dosso la terribile incertezza di non potermi fidare di chi è tenuto alla tutela della sicurezza delle persone, anche della mia.
Ricordo l’elicottero fisso, in volo sopra il Carlini. Un ragazzo era stato ucciso. Il giorno dopo, nella manifestazione del 21, c’era tanta rabbia. Quando il corteo è stato spezzato non si è capito più nulla. Orribile.
Mi sono portato a casa la paura e la rabbia, anche di non essere compresi. Ancora oggi c’è chi non capisce cosa sia successo in quei giorni. Genova è difficile da raccontare, è difficile far capire la gravità di quanto successo, la gravità di vivere in un contesto in cui i diritti sono stati sospesi. Ancora prima delle torture della Diaz, già quello che successe in strada nei tre giorni precedenti è stato inaudito.
Per anni ho avuto paura dei botti e dei fuochi di artificio. Ricordo di una festa, poche settimane dopo Genova: al primo colpo dei fuochi di artificio l’istinto è stato nascondermi. Le istanze del movimento erano chiare. Ancora oggi sono convinto fossimo nel giusto. E il contesto attuale, drammaticamente, lo conferma.
Alessandro Madron
Tradate
Giornalista de Il Fatto Quotidiano
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